Quando Badolato conquistò Brera e Verdiglione iniziò a scolpire il Meridione
Ancora a Brera, in quella insigne e celebrata scuola d’arte, c’è chi ricorda i suoi esami e la sua tesi di laurea. Eppure sono già passati quarant’anni.
Si, perché davanti ai professori, Gianni Verdiglione, era un’opera tra le opere. La perla fu all’esame di fotografia. Quella volta parlò della caratterizzazione e dell’evoluzione dell’identità a partire dal valore sociale della residenza e del luogo di nascita. Poche parole farfugliate, quasi incomprensibili, per poi presentare il suo lavoro fotografico. Non aprì cartelle o book con fotografie, ma estrasse il portafoglio e dispose sul tavolo in perfetta simmetria la carta di identità, la patente di guida, il tesserino del tram milanese e il libretto universitario, naturalmente tutti con la rispettiva fotografia del giovane Verdiglione. Anzi, “Verdiglione studente”, come ebbe a scrivere nel suo celebre biglietto da visita, senza aggiungere né indirizzo, né telefono, nè altro.
L’apoteosi fu comunque con la tesina di fine corso. Si presentò con uno studio sulle tradizioni culturali e sociali della Calabria, dalle migrazioni del primo Novecento al boom economico ed il conseguente sogno meridionale della Fiat. Un saggio di decine di pagine scritte prevalentemente in calabrese, con un po’ di grecanico e qualche “sfuggita” egiziana. Lingua italiana solo a tratti, ma davvero pochi. Giusto qualche citazione o riflessione prese a prestito da altri saggi o da frasi di film del neorealismo. “Non posso crederci! Non è possibile che i tuoi professori siano così ciucci!” Esclamò indignato suo padre dopo che ne ebbe a leggere qualche pagina. Non si trattenne e gettò la tesi sul divano davanti alla televisione dopo che lesse le citazioni che sovente e con apparente pertinenza ricorrevano dell’antropologo Giuseppe Bicco e del sociologo e filosofo Antonio Maria Garretta. “Ma con che coraggio inventi queste cose? Ma quali filosofi e antropologi! Stai parlando di quell’ubriacone di Pepparerhu, di Biccu e del Pirri, che della filosofia è maestro solo in quella dell’ozio! Io qua a spezzarmi la schiena a fare lo scalpellino con le pietre di granito e te a Milano a fare “l’artista” perdigiorno, vergognati!”.
Sarà perché ancora non c’era Google che in un attimo ti svela chi sei, cosa fai e dove vai, o perché i professori si compiacevano nell’ascoltare quel giovanotto dall’area scomposta e i lunghi capelli, ma alla fine vollero credere a tutte le fandonie che egli raccontò e scrisse. Almeno a quelle che riuscirono a capire, in quella sua esposizione farfugliante, tutta in calabro catanzarese. Anzi in badolatese, come mi corregge Verdiglione. E non si interessarono neppure della veridicità e dell’esistenza dei due esimi studiosi di antropologia e filosofia. Per simpatia Verdiglione era già un dottore, e i professori si divertirono molto anche quando raccontò loro che la tesi era stata tutta scritta a mano perché non aveva, e soprattutto, non sapeva usare neppure una macchina da scrivere. L’aveva fatta trascrivere e stampare da una piccola tipografia gestita da tre fratelli egiziani, arrivati in Italia da pochi anni, che lavoravano, pur non conoscendo ancora troppo bene l’italiano, a prezzi bassissimi. Fu quella la spiegazione del testo multilingue. I tre fratelli avevano fatto del loro meglio. Bravo Badolato! Ti meriti un bel 100! Eh, si perché a Brera Verdiglione era per tutti Badolato, da quando nelle due vie Fiori Chiari e Fiori Oscuri, proprio adiacenti l’Accademia, erano comparse decine di scritte “Badolato ti amo”, “Badolato sei bella”, “Badolato ti sogno”… Divenne così famoso a Brera che due suoi professori vollero raggiungerlo in estate nella sua Badolato. Arrivarono nel torrido mese d’agosto, piazza Castello era completamente vuota e arroventata dal sole che fu di Ulisse. Quando finalmente vicino al bar del Fosso apparve un signore, i due si avvicinarono per chiedergli se conoscesse Verdiglione. Franco Pomodoro conosceva bene tutti, ma anche lui, a suo modo, era un’artista, si divertiva a rispondere agli sconosciuti con i versi degli uccelli che imitava benissimo. Così, anziché informarli su dove si trovasse Verdiglione, rispose facendo duettare un merlo con un’allodola. “Ma allora a Badolato sono davvero tutti pazzi!” pensarono i due “professori del nord”. Più tardi, per fortuna, un gentile e corpulento signore nel negozio di alimentari con una bella immagine di Berlinguer all’ingresso, ebbe modo di raccontare ed informarli su tutto, così che nei due giorni di sosta conobbero e soprattutto bevvero tutto quello che quella generosa e stramba comunità seppe offrire loro.
Gianni Verdiglione, terminata la parentesi milanese di Brera, tornò nella sua terra. Erano gli anni dell’immaginazione al potere e così con la complicità di Turi Caminiti, Pepè Argirò e Pirri o’ filosofo, iniziarono le sue incursioni artistiche, politiche e sociali. Una mattina sul muro della Farmacia apparve una grande lapide “in onore di Ettore Maiorana” e in contemporanea u vanderi che con tromba e tamburo dava gli annunci alla cittadinanza, informando dell’inaugurazione della targa per il giorno successivo alle 11. Gianni, Turi e gli altri amavano quello scienziato, voluto da Enrico Fermi tra “i ragazzi di Via Panisperna” e che scomparve, perché pare si fosse rifiutato di proseguire la ricerche per la bomba atomica. Ma a Badolato che ne sapevano di Maiorana? In Comune decisero subito di togliere la targa perché convinti, essendo gli autori quei pericolosi marxisti, fosse in memoria di un terrorista delle brigate rosse. Dopotutto, l’imprevedibile Verdiglione, proprio pochi mesi prima aveva fatto una scultura in gesso con persone che si abbracciavano e poi l’aveva ricoperta di vernice rossa. Eh si, quella era per le Brigate Rosse. Intanto in quegli anni nel paese, come succedeva in molti altri borghi della costa ionica e non solo, il paese si spopolava. Gianni, che ne aveva scritto anche sulla sua tesi, nel 1996, lanciò l’appello “Badolato non vuole morire”. Raccolse le impronte digitali di tutti gli abitanti del borgo e 350 bottiglie con messaggio e “firma digitale” furono gettate a mare. E così dall’Albania, dalla Croazia, e perfino dalla Turchia tornano messaggi di risposta. 350 erano le bottiglie partite, proprio come i curdi che con la nave Ararat, si incagliarono e sbarcarono l’anno successivo sulle spiagge badolatesi. Badolato e Riace furono i primi ad aprire le loro case vuote per ospitarli. Gianni, Turi, Pepè il Pirri, naturalmente tra gli animatori dell’accoglienza, come a Riace Mimmo Lucano.
Verdiglione continua ancora oggi con le sue opere, spesso effimere. Brevi interventi, incursioni, ancora l’accoglienza, gli ultimi e la memoria, le sue ispirazioni. E così ecco apparire la lunga striscia di quotidiani di tutte le testate, di ogni parte del Paese, con date e anni diversi. Come a raccontare una storia lunga come la vita e dai tanti diversi punti di vista e posizioni. Come a raccontare l’importanza dell’informazione e della notizia. Pagine unite da un’unica scritta, senza appartenenza o fede: pace, pace e ancora pace. Una lunga striscia di quotidiani che attraversa il corso del paese fino ad entrare nel palazzo comunale. Un’opera effimera che reggerà fino al prossimo forte refluo di vento caldo che soffia da Oriente o temporale.
L’opera più bella e rappresentativa e che sembra formare il grande mosaico artistico della sua vita, della sua memoria e del suo impegno politico e sociale, è rappresentata comunque dalle “pietre parlanti”. Si possono vedere sui muri di Badolato, dove c’era la vecchia scuola, la sezione del Pci, oppure dove abitava Caterina Trovato dell’Udi, oppure il padre di Peppino Naimo, che, racconta la pietra, non avendo nulla alla sua morte lasciò al figlio il Partito comunista.
E così quasi ogni giorno, ancora accompagnato da Pepè Argirò, Verdiglione scolpisce e raccoglie storie ed emozioni di questa terra del sud, come lo sciopero a rovescio, la lotta contro le trivelle, le basi nucleari o la baronia… L’ultima pietra affissa racconta la storia di “zio Ciccio Verdiglione, padre del presidente USA” che emigrò in America e dicono fosse il padre di Reagan. “Le foto dei due stanno lì a dimostrarlo”, afferma Guerino Nisticò che sovente accompagna turisti e gruppi per raccontare le pietre.
Una lunga storia artistica quella di Verdiglione che mi saluta regalandomi un suo piccolo libro di poesie, Aprile 1977, edizioni dell’autore.
Lo apro,
“Gente
Gente abbronzata e sporca
Aspetta snervata e stanca la corriera 1
Il bus si ferma
Subito a letto.
Domani ricominceremo nuovamente”
Allora erano i braccianti, oggi i migranti, ma la storia non cambia, per gli ultimi del mondo, sentenzia Turi, non è mai cambiato nulla!