Gli inferni di Joy

Dalla persecuzione di un uomo in Nigeria, alla prigionia in Libia, alla solitudine in Italia.
Una figlia che non vede da 8 anni, le infinite ferite dell’anima

L’inferno. Così Joy ricorda la Libia. 10 mesi di prigionia, privazione e violenza. Ma non è l’unico che ha conosciuto. Ce ne sono stati altri, prima e dopo.
33 anni, nigeriana, vive adesso sulla costa toscana. “Ero una donna felice. Mi ero sposata quando avevo 17 anni e amavo mio marito. Avevamo avuto una bambina che oggi ha 14 anni. Poi, senza che io abbia detto o fatto nulla, la mia vita è cambiata ed è diventata il primo inferno che ho dovuto attraversare”.
Un uomo l’avvicina: non è uno qualunque. Ha soldi ed ha potere. Le chiede di lasciare il marito. “All’inizio pensavo ad uno scherzo. Gli dissi subito che amavo mio marito, che avevo la mia famiglia e che non sarei mai stata con lui”. Nessuno, però, sembra in grado di difenderla e l’uomo la rapisce. “Fui presa e portata via da casa mia. Alla fine convinsi alcuni uomini che lavoravano per lui a lasciarmi fuggire”.
Joy non torna a casa perché sarebbe stata immediatamente rintracciata. Si rifugia da alcuni zii ma la consapevolezza è che nemmeno con loro sarebbe stata al sicuro. Anzi: stava esponendo, loro e le persone che la stavano aiutando, al pericolo. La decisione è di partire per la Libia: la prima tappa di un viaggio ancora nemmeno immaginato. Forse l’Europa, forse no. L’importante era abbandonare la Nigeria e arrivare in Libia. Ci resterà 10 mesi ma capisce subito che si è chiusa alle spalle la porta di un inferno ed ha spalancato quella di un altro. “Il problema non era più un uomo che mi perseguitava ma il fatto che ero prigioniera in un posto orribile. Insieme ad altre ragazze dovevamo solo ubbidire e subire. Ci dicevano quando alzarsi e quando dormire, quando mangiare e quando fare altre cose. Molte le ricordo, altre tento di dimenticarle. So con certezza che ogni notte mi addormentavo con la speranza di non svegliarmi la mattina dopo”.

Alla fine, dopo 10 mesi di prigionia in Libia, Joy arriva in Italia. Non ha nulla: né documenti, né amici, né punti di riferimento. E’ il 2014 ed ha 29 anni. Tutto quello che ama e di cui ha bisogno è alle sue spalle e irraggiungibile: la figlia, il marito, la famiglia, la vita di un tempo. Un mondo che esiste ma talmente lontano e irrecuperabile da apparire irreale. Di fronte ha il vuoto: non sa dove andare, non sa cosa fare. Non sa nemmeno in quale luogo d’Italia sia arrivata. Ricorda solo il periodo di quasi un anno e mezzo a Siena. La certezza è quella di non poter tornare indietro e di non capire come poter andare avanti. Il “presente” è fatto solo delle ferite che la fuga dalla Nigeria e la prigionia in Libia le hanno lasciato nell’anima. Ferite create dalla reclusione, dalla violenza, dagli stupri, dalle privazioni. Ha tentato due volte di realizzare il “sogno” che aveva nella prigione libica: ha provato a togliersi la vita ma non ce l’ha fatta.

“L’incubo di tornare indietro, l’angoscia di non avere la forza per andare avanti.”

Non si autoconsola: “sto malissimo. Non riesco a pensare ad altro che a mia figlia che non vedo dal 2014 e che non so come far arrivare in Italia. Sono passati gli anni più importanti: per me e per lei. Non mi riconoscerebbe. Forse non sa nemmeno chi sono e io non so come sia cresciuta e come sia diventata. Qui vivo sola perché ho paura degli altri, non riesco a non provare paura se un uomo mi si avvicina”.

L’etnopsicologa Barbara Mamone è stata e continua ad essere il suo punto di riferimento: “mi ha aiutato e mi aiuta a vivere. Non è soltanto una professionista ma soprattutto un’amica”. Le chiediamo se vuole che usiamo uno pseudonimo per raccontare la sua storia. Ci dice di no: “in primo luogo parlarne penso mi possa fare bene e poi vorrei che il racconto di quello che ho dovuto soffrire fosse di aiuto ad altre donne. Il mio non è un caso isolato. Ho incontrato ed ho conosciuto ragazze che hanno vissuto come me. E quanto abbiamo dovuto subire è la rappresentazione dell’ingiustizia. Io non ho fatto nulla per meritarmi gli inferni che ho attraversato. Sto pagando un prezzo altissimo, fatto di una vita di dolore, paura e solitudine. Una vita che non ho meritato”.