Lucia del Mastro spiega la ricerca che consente alla donne sottoposte a chemio di avere comunque figli
Scrisse Alda Merini: Il vero diritto di una donna è quello alla maternità. La definì una gioia molto sofferta ma per molte giovani donne che incontrano il tumore spesso è irraggiungibile. Lucia del Mastro, medico e ricercatrice che lavora presso il Policlinico San Martino di Genova, è professoressa ordinaria di oncologia e direttrice della scuola di specialità in oncologia medica dell’Università del capoluogo ligure. Da oltre 20 anni la sua missione è dare alle giovani donne che si ammalano di tumore alla mammella la possibilità di avere figli anche dopo le terapie antitumorali. “Non dobbiamo curare il tumore ma la paziente con il tumore – ci racconta. Questo è stato il primo pensiero che mi ha fatto immaginare la terapia che poi abbiamo scoperto. La ricerca è partita, grazie al sostengo di Airc, nel 2000, non un anno qualunque ma quello in cui sono nati i miei due gemelli. E’ stata proprio questa esperienza che mi ha ulteriormente sensibilizzato nei confronti della maternità dal punto di vista delle giovani pazienti oncologiche. Da sempre mi occupo di tumore della mammella e vedo tante giovani che non hanno ancora avuto figli e che si trovano a dover affrontare i trattamenti chemioterapici per il tumore della mammella. Nel passato queste donne, dovendo fare chemioterapia, andavano incontro ad una menopausa precoce e perdevano la possibilità di diventare madri”.
“Quando abbiamo iniziato la sperimentazione le pazienti non venivano avvisate degli effetti della chemioterapia sulla fertilità. L’unico obiettivo era curare il tumore”
Lucia del Mastro considera la scienza un’arte e “come tutte le arti, a volte, ha bisogno di ispirazione e quindi a me è venuta grazie alla maternità. Da tempo sapevamo che la chemioterapia provoca maggiore tossicità nei tessuti che sono in attività, ad esempio al midollo osseo che produce continuamente le cellule del sangue. Non a caso una delle conseguenze più evidenti della chemioterapia è l’abbassamento dei globuli bianchi e dei globuli rossi, e questo proprio perché viene colpito il midollo. Lo stesso avviene con le ovaie, anch’esse organi molto attivi nelle giovani donne”. “Abbiamo quindi ipotizzato di mettere in una situazione di riposo le ovaie e pensato che questo avrebbe potuto ridurre gli effetti della tossicità da chemioterapa. E’ stato quindi utilizzato, per questa sperimentazione, un farmaco che ha l’effetto di “spegnere” temporaneamente l’attività delle ovaie e lo abbiamo somministrato prima e durante la chemioterapia così da mettere le ovaie in una situazione di riposo e valutare la possibilità di ridurre la tossicità della chemioterapia a livello ovarico”. La prima valutazione è stata fatta su 30 pazienti che volontariamente hanno deciso di partecipare. I risultati sono stati molto incoraggianti, solo il 2% di esse ha sviluppato successivamente la cosiddetta menopausa precoce. “Questo ci ha dato la spinta ad ampliare la sperimentazione a circa 300 pazienti, di queste la metà ha effettuato la chemio più questa terapia, le altre solo la chemio. Abbiamo dimostrato che usando questo farmaco si può ridurre in maniera evidente la percentuale di donne che va incontro a menopausa. Provengo da una famiglia numerosa con 8 fratelli, credo che queste mie radici mi abbiano spinto a mettere al centro del mio impegno la famiglia e soprattutto la possibilità di crearne una”.
La ricerca ha avuto un momento di svolta. “Avevamo un database dove venivano archiviati tutti i dati dei pazienti e dovevamo fare le verifiche ad un anno dalla fine del trattamento. Ero di fronte al monitor con il responsabile statistico, il dottor Luca Boni, il secondo autore della ricerca. Ricordo che lui ha lanciato il programma di analisi statistica, quello che ci doveva dare il risultato. Io non ho retto e mi sono girata dicendo “non voglio guardare il risultato”. Dopo qualche istante Luca mi ha detto “girati pure”. Davanti a noi risultati straordinari con una differenza netta tra un trattamento e l’altro. Il dato decretava chiaramente che la nostra idea era giusta e che il risultato della sperimentazione era positivo. Avevamo scoperto una nuova strategia per preservare la fertilità e la funzione ovarica delle donne. Ci siamo
abbracciati forte”.
“Guarire non è semplicemente fermare il tumore e farlo regredire, ma anche aiutare la persona dalla sua situazione di malattia, farla tornare ad avere le stesse possibilitàdi prima”
L’Italia è stato il primo paese al mondo in cui sono state stilate le linee guida per la preservazione della fertilità nelle giovani pazienti con cancro. Da quel momento tutto il mondo ci ha seguito.
Al centro di questa ricerca c’è la donna. “Guarire non è semplicemente fermare il tumore e farlo regredire, ma anche guarire la persona dalla sua situazione di malattia, e farla tornare ad avere le stesse possibilità di chi di tumore non si è mai ammalato. Un pensiero, almeno per l’epoca, rivoluzionario. Quando abbiamo iniziato a fare questa sperimentazione, infatti, gli oncologi non avvisavano le pazienti che per effetto della chemioterapia avrebbero potuto perdere la fertilità. L’unico obiettivo era curare il tumore e queste donne si ritrovavano alla fine della chemioterapia in menopausa e non erano neppure state avvisate. Ancora oggi, per queste donne ex oncologiche, quando nasce un bambino sono io la prima persona a essere chiamata al telefono”.
Il tumore alla mammella è il più diffuso e dati del 2022 segnalano 59mila casi. A fronte di questi numeri, però, si registra un continuo miglioramento, le percentuali di superamento della malattia con probabilità di sopravvivenza a cinque anni sono di oltre l‘85%. “La strada è aperta – conclude Lucia Del Mastro. Stiamo lavorando per migliorare questi risultati dedicandoci anche a studiare l’impatto sulla fertilità di nuovi farmaci destinati alle donne che hanno una predisposizione al tumore. Sono una persona legata profondamente al mare. Vedo l’orizzonte ma non la fine, prima mi immagino cosa c’è oltre l’orizzonte e poi cerco di scoprirlo”.