Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente, ci guida in questa intervista tra i risultati della COP28 di Dubai sul cambiamento climatico e le prospettive per il nostro Paese
Inutile girarci intorno, per quanto si possa considerare un evento simile ad un megashow, la recente Conferenza COP28 di Dubai costituisce uno snodo fondamentale per comprendere il quadro sul cambiamento climatico e le prospettive dei prossimi anni. Inutile anche pensare che esistano soluzioni autonome e fai da te, la crisi climatica richiede condivisione ed azioni comuni a livello globale, nessun paese può pensare di salvarsi da solo.
Per fare il punto su tutte le questioni legate allo sviluppo sostenibile, sia a livello globale che per quanto riguarda il nostro Paese, ci siamo rivolti al Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani. Di recente confermato alla guida di Legambiente, in questa intervista ci racconta anche le priorità della road map che Legambiente ha definito sulla transizione ecologica, con uno sguardo attento anche alle implicazioni sociali.
Presidente Ciafani, quali sono, in sintesi, i passi avanti che possiamo registrare nell’accordo finale della COP28 di Dubai, che alcuni giornali hanno salutato come un “accordo storico”? Cosa invece rimane da fare o poteva vedere un risultato migliore?
L’accordo finale della COP28 sancisce per la prima volta l’uscita dalle fonti fossili allo scopo di raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, con un’accelerazione entro il 2030, triplicando le rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica. La scelta di prevedere una “transition away” graduale per la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone rappresenta un timido passo avanti. Adesso, la palla passa ai Paesi: dovranno dare seguito ad azioni decise, senza più tentennamenti o inspiegabili rinvii. La crisi climatica avanza a un ritmo sempre più veloce e il tempo delle prese di posizione in chiaroscuro è ampiamente finito. L’Italia dovrà fare la propria parte, in linea con un’accelerazione che dovrà palesarsi senza zone d’ombra anche in Europa. L’accordo siglato dalla COP28 presenta anche criticità rilevanti tra cui il ricorso alle tecnologie di abbattimento di emissioni di anidride carbonica, l’utilizzo di fonti fossili come combustibili di transizione per garantire la sicurezza energetica e il mancato serio impegno per la finanza climatica, indispensabile per aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili ad accelerare la fuoriuscita dalle fossili.
L’Italia, per Legambiente, a che punto è nelle politiche per la transizione sostenibile?
All’Italia serve un cambio di passo immediato a partire dalla definizione di una road map nazionale per la decarbonizzazione che preveda in primis una revisione ambiziosa del PNIEC per ridurre almeno del 65% le emissioni entro il 2030 (la versione attuale si ferma al 40%). Altro passo importante per l’Italia dovrà essere la rimodulazione e la cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030. Il nostro Paese, sino ad oggi, si è dimostrato pro-fossile e poco rinnovabile. Nel 2022, stando al nostro ultimo report diffuso nell’ambito del XVI Forum QualEnergia, i sussidi ambientalmente dannosi sono stati più che raddoppiati, raggiungendo quota 94,8 miliardi con i decreti per l’emergenza bollette causata dalle speculazioni sul gas. Di contro, le rinnovabili sono immobili con 1.400 progetti solo “su carta” in valutazione al MASE e in ritardo per le mancate semplificazioni. Solo investendo sulle rinnovabili l’Italia potrà colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65%, in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili.
Il paradosso di agricoltura e allevamenti: come possiamo risolvere il problema dei sistemi alimentari e del loro significativo impatto sulle emissioni di gas serra?
Serve promuovere un modello agroalimentare capace di ridurre gli input negativi della chimica di sintesi, ma anche quelli idrici ed energetici, e di diminuire le emissioni climalteranti, innalzando l’asticella dell’agricoltura integrata, puntando sul biologico, cambiando l’intero sistema a 360° e favorendo l’innovazione tecnologica. È urgente poi scommettere sull’economia circolare, come già stanno facendo numerose aziende virtuose; sull’efficienza energetica; sul rinnovo del parco macchine; sul biogas e biometano fatto bene; sul fotovoltaico sui tetti dei capannoni, andando oltre l’autoconsumo e favorendo le comunità energetiche; sull’agrivoltaico, che unisce all’innovazione tecnologica dei pannelli fotovoltaici, le pratiche agricole realizzate in modo complementare, evitando consumo di suolo con una sinergia positiva fra produzione agricola ed energetica; sulla riconversione degli allevamenti intensivi verso progetti che riducano significativamente la densità degli animali per superficie e rispettino il benessere animale, comprese le esigenze etologico/ambientali delle diverse specie allevate. Per andare in questa direzione la via maestra è l’agroecologia. Come associazione, siamo convinti che la transizione passi anche da misure come l’IVA al 2% per tutti i prodotti biologici certificati, bonus fiscali e credito d’imposta per le aziende agricole che decidono di convertirsi al biologico, nell’ottica di garantire reddito e maggiore sicurezza agli operatori del settore e di incentivare le scelte dei consumatori. Non procrastinabili anche l’emanazione dei decreti attuativi della legge sull’agricoltura biologica (approvata nel marzo 2022) mancanti e lo stanziamento di risorse a sostegno dei biodistretti.
Il programma di Legambiente per aiutare la transizione sostenibile nel nostro Paese: avete messo 30 priorità al centro della vostra road map?
Legambiente lavorerà nei prossimi anni per consolidare i dieci pilastri della transizione ecologica made in Italy (rivoluzione energetica; economia circolare; mobilità sostenibile; agroecologia; inquinamento e riconversione industriale; adattamento alla crisi climatica; rigenerazione urbana e periferie; giovani, università e scuola; aree protette e biodiversità; lotta all’illegalità) con i 30 obiettivi definiti dai gruppi di lavoro del XII Congresso nazionale dell’associazione dal titolo “L’Italia in Cantiere” che si è svolto dall’1 al 3 dicembre all’Auditorium del Massimo a Roma a cui hanno partecipato 800 delegati provenienti da tutta Italia e oltre 100 ospiti esterni. Il Paese ha bisogno di risposte immediate e convenienti per cittadini e aziende: serve un Piano Bergoglio per l’Africa, seguendo quanto detto dal Papa sulla lotta planetaria alla crisi climatica; occorre far diventare l’Italia un hub europeo delle rinnovabili, velocizzando iter, diffusione e realizzazione degli impianti a fonti pulite; occorre mettere in pratica un piano nazionale per l’innovazione produttiva in tutti i settori e per l’economia circolare, realizzando mille nuovi impianti di riciclo sul territorio; è urgente approvare le riforme legislative che ancora mancano all’appello – come la legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, i decreti attuativi su rinnovabili e su agricoltura biologica, le norme per una lotta più efficace contro l’abusivismo edilizio, per l’inserimento dei delitti agroalimentari e contro gli animali nel Codice penale – e promuovere una nuova stagione di partecipazione e controlli ambientali per prevenire le contestazioni territoriali e i rischi di infiltrazione criminale negli appalti pubblici e per lo sviluppo di aree protette e la tutela della biodiversità. Basta poi con l’inutile dibattito sul nucleare, una forma di produzione elettrica in via di estinzione a causa dei tradizionali problemi irrisolti e degli elevatissimi costi che l’hanno estromessa dal mercato a livello mondiale, come ci indicano chiaramente tutti i dati anche di fonte industriale. Si lavori, piuttosto, per realizzare il deposito unico per lo smaltimento definitivo delle scorie a media e bassa attività, restando dentro al percorso della Carta nazionale delle aree idonee. Nella lotta alla crisi climatica vincere lentamente equivale a perdere. L’Italia questa sfida epocale la deve vincere spingendo il piede sull’acceleratore. La transizione ecologica deve essere fatta bene e velocemente.
I cambiamenti climatici rischiano di creare disastri sociali, oltre che ambientali. Non crede che sia sempre più necessario misurare anche l’impatto sociale dei progetti che mirano alla sostenibilità?
La sostenibilità sociale è uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile ed è alla base di una società più equa e giusta. La lotta alla povertà e la realizzazione delle condizioni di dignità di base per ogni individuo devono essere obiettivi prioritari nell’agenda di ogni decisore politico. La crisi climatica ha indubbiamente acutizzato le disuguaglianze sociali. In un simile scenario, è fondamentale puntare su un’economia e su progettualità capaci di tenere conto degli impatti ambientali e sociali che generano. Da un’economia più giusta e sostenibile passa la qualità – ambientale e sociale – delle cittadine e dei cittadini. Le realtà più avanzate sul fronte della sostenibilità in questo contesto giocano un ruolo strategico e possono, con le loro scelte, fare la differenza. Per un’economia concretamente ecologica e civile serve far camminare insieme il principio della sostenibilità e quello della responsabilità sociale attraverso azioni concrete e progetti innovativi. Di fronte alle sfide – anche sociali – imposte dai cambiamenti climatici, oltre a misure permanenti e strutturali, è indiscutibilmente fondamentale l’impegno di tutti, anche sotto il profilo normativo, per mettere in moto il cambiamento verso una migliore qualità della vita sociale e ambientale.