La guerra al Covid non si vince in Europa

Andrea Crisanti ci racconta il Covid. Il suo angolo di visuale è particolarmente interessante: professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova e docente in parassitologia presso il dipartimento di scienze della vita dell’Imperial College di Londra. Non solo: le sue intuizioni per il contenimento e il tracciamento del virus a Vò Euganeo, piccolo comune in provincia di Padova, hanno indicato spesso la strada per gestire la pandemia.

“due quinti della popolazione mondiale
non ha mai visto un vaccino”


“La battaglia contro il Covid è mondiale e non si vince in Europa o nell’Occidente. Due quinti della popolazione mondiale non solo non si è vaccinata ma non ha nemmeno mai visto un vaccino in vita sua. Ci sono miliardi di persone che non hanno la possibilità di vaccinarsi e che ne avrebbero bisogno e diritto.
La sfida del futuro è quella di distribuire i vaccini a paesi a basso reddito. Aldilà del Mediterraneo ci sono 800milioni di persone che non hanno anagrafe. Come si può pensare di fare un vaccino di tre dosi in queste condizioni? Molti non hanno acqua potabile e l’elettricità è un sogno. Come possiamo distribuire un vaccino che ha bisogno di essere conservato e trasportato a meno 80 gradi? E poi un vaccino anti Covid costa 20 dollari, e 20 dollari è il budget annuo di salute per persona in Africa. Questa è la vera emergenza del futuro”.
Crisanti si sofferma sulla caccia al virus. Con il network testing ci si concentra sugli spazi delle relazioni abituali, quelli in cui interagiscono familiari, colleghi e amici di ogni caso positivo. Ma noi non possiamo fare come in Cina dove per 5 casi si blocca un’intera città per 15 giorni e si fanno 20 milioni di test. Non abbiamo nè la capacità, nè la logistica e nemmeno gli strumenti politici per fare una cosa del genere. Dobbiamo quindi fare il test a chi ha più probabilità di essere contagiato. Immaginiamoci che tutti quanti noi viviamo in una specie di edificio di relazioni dimensionali: in un piano ci sta la scuola, in un piano gli amici, in un piano i parenti, i vicini di casa, i colleghi di lavoro, con relazioni sia orizzontali che verticali. In questa casa abbiamo una persona infetta. Non dobbiamo testare tutti ma questi soggetti in contatto con lui. E’ una strategia che ha funzionato molto bene quando abbiamo completamente bloccato la diffusione del virus a Vò Euganeo, la stessa usata in Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, tutti paesi, tra l’altro che hanno avuto risultati brillanti nella gestione del virus nonstante non avessero nemmeno un vaccino. Adesso con i vaccini questa strategia ha ancora più efficacia. E’ chiaro che ci vogliono le strutture, le capacità e soprattutto la volontà”.
Crisanti ammette che il Covid ha colto tutti si sorpresa: “gli scienziati e i ricercatori che anni fa avevano tirato fuori l’Italia dal colera, dal tifo, dalla malaria erano tutti morti quando è arrivato il Covid ed il sistema sanitario si è dovuto riorganizzare molto velocemente.

Non dimentichiamoci, però, che questa situazione è in parte dovuta anche al fatto che negli ultimi venti anni in Italia sono state tagliate tante risorse in sanità. La sanità è fatta di tre pilastri: cura degli acuti, cura dei cronici e prevenzione. In genere si taglia sempre sulla prevenzione.

Investire in sanità pubblica, per me, significa ricreare tutte quelle strutture di prevenzione territoriale, perché prevenzione vuol dire risparmio ed efficienza. Quelli che si aspettano più posti, più macchine, più ospedali non hanno capito cosa significa fare un investimento in sanità pubblica”.
La sanità ha fatto comunque passi da gigante: “non avremmo mai potuto sviluppare un vaccino in così poco tempo se non ci fossero stati questi progressi così importanti. Definirei la pandemia un “frullatore sociale” dove dobbiamo adeguare i nostri valori e principi verso noi stessi e gli altri. Il campo di battaglia di ogni pandemia è il territorio. E’ qui che si vince o si perde, dove avvengono i contatti tra le persone. A lungo termine la prospettiva di sconfiggere definitivamente la pandemia dipende da due fattori: la durata della protezione inditta da vaccino e la capacità del vaccino di proteggere contro le varianti”.

“Investire significa ricreare tutte quelle strutture di prevenzione territoriale, perché prevenzione vuol dire risparmio ed efficienza.”

Tre azioni per una strategia vincente: vaccinazione, contenimento e tracciamento

“I vaccini, le mascherine, il distanziamento, lo stesso lockdown agiscono tutti nella stessa direzione, ovvero sulla capacità di trasmissione del virus. Ognuno di questi elementi ha il suo impatto e tutti sono importanti, ma vanno combinati alla campagna vaccinale, perché i vaccini da soli non sono in grado di controllare il virus. Se vogliamo uscire da questa pandemia, che ci accompagnerà per molto tempo, dobbiamo trovare un equilibrio tra la trasmissibilità del virus e quello che facciamo noi per bloccarlo. Pensare che solo con i vaccini debelleremo il virus è sbagliato. Abbiamo sconfitto il vaiolo e stiamo per fare altrettanto con la poliomielite ma ci sono voluti quaranta anni ed uno sforzo immane di tutta la comunità medico/scientifica”.
Crisanti cita l’esempio dell’Inghilterra: “qui hanno vaccinato il 75% della popolazione, contestualmente hanno tolto tutte le misure di prevenzione. La conseguenza è che l’unico modo che hanno in Gran Bretagna per bloccare il virus è il vaccino, ma è altrettanto evidente che il vaccino non ce la può fare con solo il 75% di persone immunizzate. Le conseguenze sono evidenti.
Se pensiamo che in Inghilterra muoiono circa 600mila persone all’anno, avere il 10% di decessi per una malattia trasmissibile potenzialmente prevenibile è un evento che ci riporta indietro all’inizi del XVIII secolo. Va quindi ricercato un equilibrio tra vaccinazioni, azioni di contenimento e tracciamento del virus”.

Convivere con il virus

“Il virus cammina sulle nostre gambe e si trasmette più o meno velocemente a seconda delle opportunità che gli diamo, e soprattutto colpisce duro le persone fragili con patologie pregresse. E’ una malattia con una mortalità molto variabile tra fasce di età. In persone giovani è completamente asintomatica, fino a 20 anni praticamente non si manifesta neppure. Più si va avanti con l’età, però, più si evidenziano sintomi: un raffreddore, un’influenza, un po’ di tosse, fino ad arrivare alle persone sopra di 70 anni dove la percentuale di letalità supera il 30% con punte fino al 60%. Il motivo che il Covid è più letale negli anziani in parte si conosce e in parte lo stiamo studiano. Una cosa è certa: se una persona ha l’ipertensione, il diabete,è in sovrappeso ed ha più di 65 anni ha un’altissima possibilità di andare in rianimazione, soprattutto se non è vaccinata”.

La ricerca porterà anche nuovi farmaci

“Sicuramente le misure di sostegno ai malati Covid sono migliorate, ma fino ad oggi non ci sono farmaci in grado di bloccare la progressione della malattia in modo significativo: abbiamo anticoagulanti per bloccare alcuni aspetti della malattia, antinfiammatori, ossigeno, ma questi sono tutti elementi che non attaccano il virus, ma semplicemente aiutano la persona a sopravvivere all’attacco dei virus. Le novità in questo ambito arrivano dalla Gran Bretagna dove si sa sperimentando un farmaco che aumenta la frequenza di errore della duplicazione del virus. Il virus, infatti, come qualsiasi organismo nella terra, quando si moltiplica deve copiare il materiale genetico, processo molto complesso. Questo farmaco agisce come una macchina da scrivere in italiano con le lettere latine ma che costringe il virus a stampare in cirillico, il virus crede di scrivere una parola e invece ne esce un’altra, immette tantissimi errori nel codice genetico e quindi il virus non riesce a replicarsi”.

Andrea Crisanti

Nato a Roma nel 1954, dopo la laurea all’Università La Sapienza di Roma in Medicina si trasferisce a Basilea in Svizzera dove lavora all’Istituto di Immunologia presso il quale scopre l’esistenza del recettore IL2 dei timociti immaturi. Prosegue la sua esperienza internazionale al reparto di biologia molecolare dell’Università di Heidelberg in Germania.
Dal 2000 è titolare di una cattedra su parassitologia all’Imperial College di Londra. Qui diventa successivamente professore, nell’anno 2000. Riceve anche l’incarico di direttore di Genomica Funzionale dell’Università di Perugia. Si distingue per la pubblicazione di oltre un centinaio di contributi su riviste scientifiche internazionali di notevole rilevanza. Dal 2019 è Professore Ordinario di microbiologia all’Università di Padova.