“Sono originario di Roma. Con i miei genitori ci trasferimmo in provincia di Viterbo che ero ancora bambino, ma continuavo ad andare sempre a Roma. Erano gli anni ’80, frequentavo l’ambiente dei centri sociali come Testaccio, il Forte Prenestino, ecc… ero un punk, con il ‘chiodo’, gli anfibi e tutto il resto. Ma il punk è un modo di essere e ancora oggi ne porto con me alcune reminiscenze”. Fabrizio Carusi condivide la sua storia senza troppi giri di parole, dritti al punto, come se ci conoscessimo da una vita. 57 anni, un accenno di cresta grigia e degli occhi verdi, ipnotici, trasparenti come il cielo, quasi da potercisi specchiare. Da quando ha incontrato la Colap, una cooperativa sociale di tipo B, di cui è socio lavoratore, la sua vita è cambiata.
“Non avevo una famiglia alle spalle che mi seguiva e dovevo vivere di espedienti – racconta -. Ho avuto diversi guai con la giustizia per furtarelli e cose così. Alla fine ero esausto, praticamente vivevo per strada. Quando ti fai di eroina, con la violenza di un ago in vena e tutto il resto, è come mettere un tappo ai bisogni. I miei genitori non erano cattivi, erano inconsapevoli anche loro, dei disadattati e di conseguenza anche io sono diventato disadattato. Sai, quando sei sordo, non è detto che fai un figlio sordo, ma se sei un disadattato è molto difficile che tuo figlio trovi la strada per non esserlo a sua volta.
Poi sono stato in comunità con il Ceis dal 1999 al 2004, è la comunità che mi ha portato nell’Aretino. Finito il programma terapeutico non sapevo dove andare e quasi per caso abbiamo trovato la Colap che stava aprendo una serra per la produzione di erbe officinali. Se non mi avessero preso sarei stato proprio nei guai, chi ha avuto impicci con la giustizia non trova facilmente lavoro. Si trattava di una borsa lavoro di 200 euro al mese che dopo un anno d’inserimento sarebbe potuto sfociare in un’assunzione vera e propria. Questo mi ha permesso di raggiungere tanti piccoli traguardi come prendere la patente e fare progressi. Nel frattempo lavoravo al nero in agricoltura e in edilizia, ma non era la stessa cosa. In cooperativa le persone che mi seguivano erano splendide. Inoltre, sono stati corretti, perché poi mi hanno assunto a tempo pieno e indeterminato.
Con il lavoro in cooperativa ho trovato un gruppo di amici. Mia madre è morta nel 2018, nello stesso periodo mi sono lasciato dopo dieci anni con la mia compagna. E anche mia sorella, che vive lontano, ha i suoi problemi. Non è stata facile. Se non lavorassi, mi troverei molto male. Ho dimostrato di avere anch’io delle capacità non indifferenti. Ho delle mansioni che nessun altro ha. Lavoro in un termovalorizzatore, ho l’abilitazione mezzi, faccio trasporti di anziani, le sostituzioni con la spazzatrice, giardinaggio, imbiancature, di tutto… Sono cresciuto professionalmente e umanamente grazie alla cooperativa. Sanno tutto di me e io conosco bene loro. Che altro potrei desiderare?”.
Amo ascoltare, osservare, capire e raccontare