Il poeta della dignità

Giorgio Verdelli riscopre Enzo Jannacci con il docufilm “Vengo anch’io”

Il film documentario “Vengo anch’io” nasce nella mente e nel cuore di Giorgio Verdelli, regista e sceneggiatore con antiche radici toscane, ed aretine in particolare. Lo abbiamo incontrato ad Arezzo nella serata di apertura del Festival dello Spettatore 2023 al Cinema Eden che ha ospitato una proiezione esclusiva del film.

“Il mio cognome parla da solo. Sono l’unico napoletano di una famiglia toscana. Sono nato a Napoli ma mio padre era di Arezzo, si chiamava Pietro. Lo ricordo ancora con nitidezza che, per rimarcare le sue origini aretine, mi ripeteva il famoso epitaffio dello storico Paolo Glovio rivolto a Pietro Aretino: Pietro aretin poeta Tosco, disse male di tutti fuorchè di Cristo, scusandosi col dir non lo conosco. La sua passione per questa terra la trasmise anche ai figli, arrivando a chiamare mia sorella Griselda, come la protagonista della decima giornata di racconti del Decamerone di Boccaccio. La mia famiglia ha radici profondamente aretine tra Pratantico e Indicatore, i miei cugini abitano ancora li. Mio padre era il più piccolo di otto figli  e si trasferì da giovane a Caserta per frequentare l’Accademia Aereonautica alla Reggia e li conobbe mia madre”.

Perché  hai scelto di raccontare Enzo Jannacci ?

In primo luogo perché è in sintonia con un mio progetto che sto portando avanti da tempo con il quale vorrei raccontare i grandi della canzone e della cultura italiana (ha già affrontato Ezio Bosso, Paolo Conte, Lelio Luttazzi, Pino Daniele), ma soprattutto perché ero veramente amico di Enzo Jannacci.

Il progetto “Vengo anch’io” lo avevo già pensato nel 2005 in occasione di una mia intervista inedita che feci a Jannacci. Su questa intervista Jannacci stesso, in seguito, ebbe modo di dire una frase che mi ha sempre reso felice. Parlando con il suo storico editore Alabianca, che poi è anche produttore associato del film, disse “Verdelli mi ha fatto una intervista dove si capisce quello che dico”. Dovete sapere che Jannacci era sempre accusato di essere incomprensibile quando parlava, di inventarsi un vero e proprio linguaggio parallelo.

Questo è un  periodo storico di grande confusione culturale e televisiva in cui, diciamolo pure, la gente che guarda i talk show non capisce la differenza che c’è tra Cristiano Malgioglio ed Enzo Jannacci. A  mio giudizio è, quindi, ancora più importante mettere l’accento su figure così fondanti come  quella di Jannacci.

Paolo Conte, che è uno che ti musica ci capisce, ha detto più volte che Jannacci  è stato il più importante cantautore che abbia  espresso la canzone italiana.”

Vengo Anch’io è un originale viaggio attraverso il genio, la follia e la poesia di Enzo Jannacci e di un’Italia che non c’è più.

“Jannacci è sempre stato considerato un saltimbanco ed eccentrico, ma le sue canzoni raccontano un mondo ai margini e sono ancora modello di impegno sociale.

“El purtava scarpe da tennis”, canzone del 1964, è stata scritta più o meno quando Gianni Morandi cantava “Fatti mandare dalla mamma”. Con tutto il rispetto e l’affetto per Morandi, voglio però  dire che le tematiche affrontate da queste due famose composizioni sono molto diverse. Senza dubbio Jannacci è stato il primo a raccontare in musica gli ultimi, gli esclusi, quelli che lui chiamava i barboni, e lo faceva  raccontandoli in dialetto milanese. Potremmo definire Enzo come il fondatore di un certo tipo di musica etnica, come verrebbe chiamata oggi; il primo luminoso esempio di cantastorie che partendo dalle radici dalle canzoni tradizionali, che siano in milanese o napoletano, in toscano o in romano, le rielabora gli da nuova vita. Questa sua ricerca non gli è mai stata riconosciuta fino in fondo. Aveva una capacità unica di passare dal tragico al comico, dal tagliente al surreale il tutto in poche semplici frasi o parole.

Come possiamo definirlo se non genio uno che scrive versi come  “Stessa squadra, stessa osteria, stessa donna la mia”. Un artista capace di far ridere e piangere allo stesso tempo, in una sola canzone.

Quello che purtroppo non è mai stato preso in considerazione è il suo straordinario repertorio di canzoni struggenti come ad esempio “Sei minuti all’alba”, storia di un partigiano che sta per essere mandato difronte al plotone di esecuzione, una delle canzoni preferite da Francesco Guccini, che ne ha anche inciso una sua versione in un album recente  “Canzoni da Intorto”. La grande capacità di Enzo è stata proprio quella di scrivere canzoni assolutamente personali che sono delle vere e proprie sceneggiature, pensiamo ad esempio a “Vincenzina e la Fabbrica”, scelta da Mario Monicelli per il suo film “Romanzo popolare”.

Jannacci cantava i silenzi dei reietti, i dolori degli emarginati, scriveva in musica la «letteratura dei barboni» (definizione di Roberto Vecchioni), era un poeta o forse qualcosa di più, ma una cosa è certa: è venuto il momento di riconoscerlo e “vedere di nascosto l’effetto che fa”…..