L’Iran di Mina

Con il permesso di soggiorno scaduto e in attesa della cittadinanza italiana, l’artista iraniana Mina Azmoodeh ci ha raccontato il suo Paese, la condizione delle donne e una vita nella quale ha cercato e cerca di fuggire da imposizioni e regole che ne tarpino le ali, sia artistiche che umane

Mina Azmoodeh è un artista iraniana che dal 2015 vive in Italia, iniziando a studiare all’Accademia delle Belle Arti di Bologna in fotografia, cinema e televisione. Oggi abita a Montanare, sopra Cortona, un posto che in qualche modo le ricorda Shiraz, sua città natale, e dintorni; dove è nata il 21 giugno del 1987. Parla correttamente l’italiano, ma pure l’inglese, l’arabo – obbligatorio dalla terza elementare in Iran – e il farsi, cioè il persiano. Vegetariana, ha due gatti, Tao e Dibah, e adora mangiare pane, formaggio e pomodori. Sa maneggiare lo zafferano per riso e dolci e ha imparato a cuocere la pasta al dente: “Perfettissima”. Si guadagna da vivere nella bottega di Antonio Massarutto, a Cortona, che cercava una commessa brava con le lingue, trovando qualcosa di molto più raro: un’artista capace di reinventarsi continuamente.
Con il permesso di soggiorno scaduto e in attesa della cittadinanza italiana, ci ha raccontato il suo Iran, la condizione delle donne e una vita nella quale ha cercato e cerca di fuggire da imposizioni e regole che ne tarpino le ali, sia artistiche che umane.

Nel 2015 sei arrivata in Italia per motivi di studio. Che Iran hai lasciato?

“Un Iran nel quale stava crescendo una nuova generazione. I giovani di oggi che, con riferimenti culturali diversi dalla mia, lottano per i propri diritti; sono più coraggiosi e ribelli. Noi dovevamo andare al mercato nero per trovare i dischi di Chet Baker, a loro basta un dito della mano per accedere al mondo attraverso gli smartphone: seguono mode e valori occidentali, cresciuti da genitori che, come i miei, hanno subito la rivoluzione e hanno dato un’apertura mentale maggiore ai propri figli. La rivoluzione khomeinista ha lasciato indietro i kurdi, i beluci – sunniti –, così come altre minoranze. Il Belucistan, per esempio, sta attraversando un periodo di grande povertà, dal Covid-19 alla siccità, al freddo di questo inverno, senza il gas per riscaldarsi in un territorio ricco di metano e altre materie prime”.

“Ho vissuto per quello che sono, insieme con i pochi amici che riuscivo a frequentare”

Sei nata a Shiraz, nota per la sua cultura e i giardini, che città è?

“Shiraz è considerata una meta vacanziera, un po’ come la Toscana, dove ci sono quattro stagioni perfette, cipressi, grandi giardini, monumenti e poeti: io sono cresciuta nel centro storico. Lì il governo pagava gli abitanti perché se ne andassero – lasciando case che architettonicamente potevano rappresentare delle riserve culturali – e distruggeva le abitazioni per poi ricostruire appartamenti in cemento, senza gusto e identità, come a voler cancellare il passato; facendo in modo che quei cittadini andassero a vivere nelle periferie moderne. Immaginati il mio shock quando ho scoperto che in Italia è l’opposto. Ho vissuto per quello che sono, un’artista, insieme con i pochi amici che riuscivo a frequentare. Se uno di loro aveva un locale stavamo lì dentro fino alle tre di notte a parlare, bere, fumare, guardare insieme un film e ballare. Una volta in strada, però, dovevamo rapportaci diversamente gli uni con gli altri, cambiando abbigliamento. Io, però, non mi sono mai censurata, fumavo in strada, portavo i capelli quasi rasati e le persone mi guardavano giudicanti: eravamo i ‘non capiti’”.

Cosa hai lasciato in Iran e cosa hai trovato in Italia?

“In Iran ho lasciato tutto: l’amore, gli amici, i genitori, la famiglia. Avevo già una mia dimensione artistica, non solo come pittrice e artista di strada ma facevo pure danza contemporanea e cantavo, anche se la voce femminile non era accettata. Però mi sentivo stretta, tutto era faticoso: ‘non si può fare così’, ‘non ti puoi comportare in questo modo’, ‘non devi mostrare certi disegni’; ma io sono come sono. L’Italia, poi, era già nel mio destino. Quando, infatti, mio padre, poco più che maggiorenne, prese un aereo insieme con mia nonna per andare a Teheran furono dirottati a Roma; mia nonna tornò quasi subito, mio padre invece rimase per alcuni anni. Da allora il culto dell’Italia ha fatto parte dei nostri racconti familiari. Io, invece, l’ho scelta per crearmi un futuro diverso, con i risparmi che avevo mi sono pagata un corso d’italiano organizzato dall’ambasciata in Iran e sono arrivata con un visto da studentessa”.

Qual era e qual è la condizione della donna nel tuo Paese?

“Faccio sempre fatica a spiegare che l’Iran è diverso dalla Giordania, dall’Arabia Saudita, piuttosto che dall’Oman. Il 65% degli studenti universitari in Iran è composto da donne, molte di queste, poi, entrano nell’ambito del lavoro, s’informano, hanno un fidanzato, senza per forza doversi sposare, o vanno a vivere da sole. Siamo molto emancipate rispetto a ciò che spesso si pensa di noi in Occidente e quando le persone mi incontrano a Cortona, nel negozio di Antonio Massarutto (gioielli e sculture, ndr), dove lavoro, mi manifestano tutta la loro stima e la loro vicinanza al coraggio delle donne iraniane. Però quello che sta accadendo adesso succedeva pure in passato, solo che prima non si sapeva. Ricordo che un giorno, avevo diciassette anni, ero al parco con un amico a studiare matematica quando arrivò la polizia morale che allontanò lui e bloccò me iniziando a insultarmi. Fecero arrivare i miei genitori solo perché stavo studiando insieme con un maschio. È finita bene perché sono stata fortunata, ma il sistema è totalmente arbitrario e corrotto. Mi è accaduto altre volte, ma non mi hanno mai arrestata. Adesso è come se avessero aperto il coperchio e si sentisse tutta la puzza di questi decenni, nei quali ci sono stati altri movimenti di protesta, meno raccontati. Le persone scompaiono, l’inflazione è alle stelle (anche per via delle sanzioni internazionali, ndr) e Internet in mano al regime degli ayatollah. Al momento, per me, è meglio evitare di tornare in Iran e non so che futuro potrà avere il mio Paese”.

La rivoluzione khomeinista del 1979, che cacciò lo scià Mohammed Reza Pahlavi, era considerata giusta dai più, ha mantenuto tutte le sue promesse?

“Dopo 2.500 anni di monarchia era la prima volta che si parlava di democrazia, ma per la maggior parte del popolo non era chiaro che
sarebbe stata una ‘democrazia islamica’ e, anche se ne parlavano, le persone non avevano idee chiare su cosa volesse dire una democrazia
‘associata’ alla religione. Ovviamente le cose dovevano cambiare perché c’era una parte del Paese ricca e una stragrande povera: senza elettricità e che viaggiava in sella agli asini. Ruhollah Khomeini è arrivato al potere come un salvatore, poi dopo il referendum e l’instaurazione della democrazia islamica la Guida Suprema ha decretato che nei luoghi pubblici le donne dovevano coprirsi il capo e vestire in un certo modo. All’improvviso è cambiato tutto, con grande stupore degli intellettuali e delle donne. Non è un caso che pochi mesi dopo sia scoppiata la guerra con l’Iraq, la guerra convenzionale più lunga del Ventesimo secolo che ha causato perdite umane e materiali irreparabili a entrambi i Paesi: dovete sapere che, solo dopo quindici giorni dalla rivoluzione, Khomeini ha chiesto la formazione di uno stato islamico mondiale, questo è stato un avvertimento per i Paesi vicini all’Iran, e alla richiesta di amicizia da parte di Saddam Hussein ha dichiarato guerra. In queste condizioni l’attenzione del popolo è stata distolta dal regime islamico, creando un nemico comune e reprimendo i dissidenti con ferocia: provocando milioni di morti. La ‘guerra sacra’ è stata raccontata con i film, con i murales, dappertutto. Un racconto tossico che la mia generazione ha dovuto subire e del quale non ne potevamo più”.

“L’Islam ha creato un impatto forte sulla società e ha portato una cultura patriarcale intrisa di religione e una religione intrisa”

Tu sei religiosa?

“No. Sono spirituale, credo che ci sia qualcosa al di là di noi e ho vissuto con grandi donne intorno a me, come mia madre, che mi hanno insegnato questo”.

In Occidente molti fanno la sintesi: Corano, musulmani, teocrazia. Perché non è corretta?

“Perché sarebbe come unire l’Occidente e i cristiani sotto un’unica bandiera. A noi manca la vostra storia, come a voi manca la nostra, per comprendere a fondo. Gli iraniani si offendono se vengono chiamati arabi. L’Islam sciita è diventato la religione ufficiale in Iran soltanto cinquecento anni fa con l’arrivo dei Safavidi, ma c’è tutta la storia precedente. L’Islam ha creato un impatto forte sulla società e ha portato una cultura patriarcale intrisa di religione e una religione intrisa di cultura patriarcale. Per la generazione di mia madre era naturale che la donna appartenesse all’uomo, il padre che poi la cede al marito. Oggi no”.

In Italia, come donna, hai trovato maggiori libertà?

“Io amo viaggiare, quindi sotto l’aspetto burocratico legato a permessi e carte, con i lunghi tempi di attesa che richiedono per ottenerli, i quali non mi permettono nemmeno di uscire dall’Italia, devo dire di no. Sto affrontando lo stesso problema che vivevo nel mio Paese: lì era dovuto al passaporto iraniano e al valore del denaro, viaggiare all’estero era per benestanti o per chi poteva ‘facilitare’ l’emissione del visto attraverso un conoscente che lavorava in qualche ambasciata. Inoltre, quando vivi in un territorio che non è il tuo hai altri problemi da affrontare, in più ci sono i pregiudizi, tante persone qui in Italia hanno ancora la fobia verso il migrante, soprattutto se viene da un Paese come il mio. Invece, dal punto di vista della libertà individuale, soprattutto come donna, non devo più affrontare questioni che per quanto possano sembrare banali non lo sono. La religione se diventa un obbligo può diventare un incubo. Quando sono atterrata a Bologna ricordo il caldo e l’umidità, la possibilità di mettermi libera, di girare con le spalle nude, di andare in bicicletta, cose che in Iran non erano e non sono scontate”.

Cosa dice il Corano della donna e della sua condizione?

“Preferisco raccontare alcuni episodi concreti che rispondere direttamente a questa domanda. Girare da sola per le strade di una città
iraniana dopo mezzanotte significa essere una puttana e ti chiedono quanto vuoi. A ventitré anni ho deciso di andare a vivere da sola, ma per avere una stanza mio padre doveva firmare per me in agenzia. Quando poi ho trovato una stanza presso una coppia di ebrei nessun uomo poteva salire con me, a parte mio padre o mio fratello, nonostante fossi fidanzata. Sapevo che non mi sarei sposata solo per essere qualcuno, per corrispondere alle regole, così come per il sesso. Siamo nel Duemila, le cose sono cambiate e stanno cambiando pure in Iran. Non so, però, a quale prezzo”.

Tu sei un’artista, laureata all’Accademia delle Belle Arti di Bologna in fotografia, cinema e televisione, prim’ancora in pittura in Iran: cosa esprimi attraverso la tua arte?

“Faccio fatica a definirmi. Mi occupo di arti figurative e visive e cerco di esprimermi attraverso queste. Quando ero più giovane lo facevo con il mio corpo, anche perché era impossibile avere, per esempio, un modello. Così il mio corpo è diventato il mio vissuto, il mio spazio fisico e mentale, ma poiché in Iran non potevo essere me stessa sono diventata una migrante e ho affrontato un percorso più antropologico attraverso la fotografia”.

L’arte può essere un modo di fare politica?

“Certamente. Secondo me con l’estetica possiamo cambiare più di quanto possa fare una decisione politica, perché l’arte visiva arriva subito, oltre il muro linguistico”.

“Sono un’artista e un’attivista e per questo sono a rischio”

Cosa significa per una donna oggi essere, veramente, libera e al pari degli uomini, senza scontare alcuna discriminazione?

“Ho tantissime amiche, italiane e no, con le quali facciamo dei riti sciamanici. Sento tanta voglia di tornare alle radici, all’essenzialità, recuperando però l’energia femminile che per troppo tempo è stata repressa e imprigionata. Questo vale per me ma anche per tutte le donne del mondo. Sentiamo forte la necessità di ridare quell’energia femminile che fino a ora è mancata. Per cambiare in meglio il caos che stiamo vivendo tutti quanti. Credo che la maggior parte della capacità femminile sia stata limitata allo spazio interiore – casa, famiglia, marito – e oggi si sente questo squilibrio energetico accumulato nei secoli e dovuto a questa forma di discriminazione: cosi è anche nel mondo dell’arte”.

In Occidente abbiamo spesso l’idea che da noi le donne siano emancipate e con tanti diritti, cosa vera solo in parte, mentre nei Paesi arabi no. È una visione corretta?

“In Iran non possiamo divorziare mentre l’uomo può sposarsi tre volte e mantenere tutte e tre le donne, se capace dal punto di vista sessuale ed economico. Quindi poligamia maschile contro divieto di divorzio femminile. E se una donna tradisce il marito può essere punita fino alla morte dallo stesso e dalla sua famiglia, senza che la polizia possa intervenire. Per una donna orientale tante porte sono chiuse, altre inesistenti, ma queste aberrazioni istituzionali che cercano di proibire possono solamente rallentare un processo di crescita e di sviluppo della società. Infatti, i tentativi di emancipazione femminile sono sempre più frequenti”.

Tornerai mai nel tuo Paese?

“Non vedo l’ora ma per adesso è meglio evitare. Sono un’artista e un’attivista e per questo sono a rischio. So di ragazzi tornati che dopo quarantotto ore sono stati presi in casa dalla polizia e interrogati per le loro attività di propaganda anti regime all’estero. Sono preoccupata per la mia famiglia, ma non sono una donna così importante e, quindi, spero che non gli accada niente. Aspetto, comunque, un Iran libero”.

Cosa significa oggi essere una donna iraniana nel mondo?

“Percepisco un grande interesse nei miei confronti, nei confronti della mia cultura. È anche una responsabilità perché sono bombardata di domande e cerco sempre di dare risposte precise perché non si generalizzi: né su di me, né sull’Iran”.