“Ci auguriamo che il convegno del 10 ottobre sui 50 anni dei servizi di igiene mentale ad Arezzo rappresenti una nuova e maggiore attenzione delle istituzioni a questo tema”. L’Associazione “Vivere insieme” riunisce famiglie di pazienti ed è attiva fin dagli anni Novanta. “Il nostro obiettivo – spiega la presidente Milena Galli – è essere un ponte tra il servizio sanitario, gli utenti e le famiglie delle persone in cura. In rete con altre associazioni no profit e soggetti del Terzo settore, realizzando progetti individualizzati di inclusione sociale e di promozione della salute”.
Le famiglie vivono una situazione che appare sempre più complessa e difficile da sostenere. “I servizi di salute mentale – sottolinea Galli – sono presenti e attivi. Predispongono i piani di cura personalizzati. Sulla carta noi e i nostri figli dovremmo sentirci sicuri ma purtroppo non è così. Il numero di quelli presi in carico sta crescendo: sono circa 2.500 ad Arezzo. E’ una crescita progressiva con fenomeni gravi che non sempre vengono tenuti nella giusta considerazione: mi riferisco ai suicidi. Dinanzi all’aumento della “domanda”, registriamo un calo dell’”offerta”: drastica riduzione di psichiatri, psicologi, educatori e la figura professionale dello psicoterapeuta è scomparsa dall’orizzonte”.
La situazione dei genitori che hanno un figlio con problemi di salute mentale diventa sempre meno sostenibile.
“Nel senso comune si pensa che i pazienti abbiano bisogno solo di assumere medicinali e di colloqui con uno psicoterapeuta. Non è così. Il bisogno è molto più consistente e non si limita a una singola figura professionale ma richiede una rete di professionisti, di servizi sanitari e sociali, di opportunità lavorative e di socializzazione. I nostri figli e noi abbiamo bisogno di una rete di sostegno che solo il sistema sanitario pubblico può offrire. E’ un problema di finanziamenti e di personale che non si risolve ad Arezzo e forse nemmeno in Toscana. L’Italia è tra gli ultimi paesi europei per quota di spesa destinata alla salute mentale: noi siamo al 3,4, gli altri a più del 10%”. I 4 miliardi di oggi dovrebbero essere aumentati, secondo alcune stime, di 1,9 miliardi in tre anni per arrivare almeno al 5%. Il personale sanitario dovrebbe essere aumentato del 47%. Altri investimenti sarebbero da dedicare alle campagne di sensibilizzazione, ai corsi di aggiornamento per il personale, agli interventi psicoterapici e psicoeducativi, all’adeguamento del numero delle strutture dedicate.
“In realtà – sottolinea l’Associazione – non accade nulla di tutto questo. Noi facciamo del nostro meglio: ci aiutiamo tra noi, organizziamo attività di socializzazione quali musica, teatro, nuoto, laboratori, perfino una pubblicazione periodica. Una volta all’anno ci occupiamo insieme delle vacanze al mare dei nostri figli ma è chiaro che non possiamo farcela da sole. Se Regione e Asl dicono che non ci sono né soldi né personale, la loro vita quotidiana non cambia. Quella dei nostri figli e anche la nostra si. E in maniera drammatica. Gli anni passano anche per noi. Non siamo eterne. Cosa succederà quando non ci saremo più?”.