L’accoglienza dei senza casa nella Fraternità Bindi di Arezzo
Via Chiassaia, centro storico di Arezzo, ore 8.10. E’ l’ora della colazione. Questo non è il mitico luogo del romanzo di Capote ma la casa di accoglienza della Fraternità Bindi. Qui non entrano clienti ma donne e uomini senza casa. Entrano e salutano: sono un gruppo ormai stabile e si conoscono con i volontari. Firmano un registro e poi fanno quello di cui hanno più bisogno. C’è chi si dirige alle docce: dopo essersi lavato, potrà indossare i panni della volta precedente che la Fraternità Bindi gli ha nel frattempo lavato e stirato. C’è chi prende il caffellatte e una pasta e si mette seduto, da solo e in silenzio. C’è chi beve un caffè in piedi e poi si dirige verso il divano. Si toglie le scarpe e dormirà dopo pochi minuti. La notte non è stata probabilmente facile. C’è chi entra e va direttamente alla presa elettrica per ricaricare il cellulare: il caffè arriverà dopo. C’è chi ha male a un piede e sottolinea che la pomata che in Italia costa 30 euro, lui l’ha trovata nel suo paese, il Marocco, a 2 euro e mezzo. C’è chi arriva con la compagna e alla volontaria annuncia raggiante: “ho trovato una casa. 250 euro al mese. Il mese prossimo darò una caparra di 100 euro. C’è tutto: la cucina, un tavolo, 2 sedie, una brandina e un piccolo armadio”. Poco per chi ha molto, tutto per chi non ha niente. La compagna gli ricorda che una brandina non basta. Lui risponde che ne troverà un’altra e le legherà insieme con la corda per farne un letto matrimoniale.
Bruna Giovannini, oggi insieme a Renato, medico in pensione, è una dei volontari che tengono aperto il centro di via Chiassaia. “Due mattine e un pomeriggio alla settimana. Il Covid ha rappresentato una svolta drammatica.
Prima eravamo aperti 5 mattine e 3 pomeriggi alla settimana ed avevamo una presenza costante di circa 30 persone senza dimora. La pandemia le ha fatte uscire dai nostri radar. Quando abbiamo riaperto, molti di loro non si sono ripresentati e di alcuni non abbiamo avuto più notizie”.
Problemi anche nel gruppo dei volontari: i più anziani non se la sono sentita, dopo l’esperienza Covid, di tornare tra i senza casa. Tra i volontari ci sono anche detenuti della casa circondariale di Arezzo che arrivano qui su decisione
dell’Uepe e cioè dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna. La Fraternità Bindi ha anche rapporti con Serd dell’Azienda sanitaria della Toscana sud est.
Tutti questi volontari garantiscono servizi ai senza casa. La colazione, la doccia, il lavaggio degli indumenti, la distribuzione di vestiti, e quando possibile, di scarpe. E poi le risposte a infinite domande che vanno dalla sanità ai permessi di soggiorno. La burocrazia per chi non ha casa è un serio problema. Per chi è anche straniero diventa, quasi naturalmente, “la” nemica.
“I vestiti sono una richiesta costante – ricorda Bruna Giovannini. Chi vive per strada sottopone ciò che indossa a un’usura e a uno sporco maggiore. Da qui la necessità di lavarli e a questo ci pensiamo noi ma anche di trovare vestiti nuovi e a questo ci pensano le famiglie con le loro donazioni”.
Le persone che arrivano qui vivono senza avere un tetto sulla testa. “Ad Arezzo, dopo il Covid, non si vedono più dormire persone per strada o sulle panchine. Chi viene da noi non ci racconta dove passa la notte e abbiamo l’impressione che non gli piaccia dirlo. Possiamo solo pensare che utilizzino spazi vuoti che ad Arezzo, con la crisi economica, si sono moltiplicati, soprattutto nelle periferie. Noi non facciamo domande ma diamo loro quello che possiamo”.
Il nemico dei “comodisti” e l’ivoriano che cerca casa
Entra nella sala della colazione. Ha una giacca avana e i pantaloni dello stesso colore. Mette a terra le sedie sistemate sul tavolo. Sotto la giacca ha una strana canottiera bianca tagliata ai lati. Ha 70 anni ed è nato in una città del nord. Un matrimonio, un divorzio, un figlio. E molti lavori. O meglio, molte passioni: calciatore, allenatore, musicista, pittore. “Ho fatto quello che mi piaceva fare. Chi fa un lavoro che non gli piace, si rovina la vita”. Ha solo un nemico, quello che lui definisce il comodista. Chi è? “Quello che fa solo il suo comodo, quello che gli risulta utile. Io invece faccio solo quello che può fare felice il mio amico”.
Dopo di lui arriva un giovane della Costa d’Avorio. 28 anni, molti dei quali, ormai, passati in Italia. Prende il caffè, ricarica il cellulare e poi ti chiede in un italiano stentato se lo puoi aiutare ad avere una casa. Spiega a fatica che è ad Arezzo con il fratello, entrambi lavorano badando ai cavalli nelle stalle. “Siamo in una casa che non è una casa. E’ di un pakistano. Il cesso non funziona, la doccia non scarica l’acqua e quando finisce rimane alle caviglie. Hai un posto dove possiamo vivere?”.
La Fraternità Bindi
La Fraternità Bindi non si limita a garantire alcuni servizi ma mette a disposizione alloggi per chi è senza dimora.
Ricorda il Presidente Cristiano Rossi: “Nelle nostre case attualmente accogliamo 19 persone: in quella di via Chiassaia sono ospiti 8 persone; in via Benedetto Varchi 6, oltre alla famiglia filippina con cui condividiamo un appartamento; nella Casa Mamma Grazia di via Benvenuti 5 persone e queste sono donne di varia nazionalità che trovano nella casa accoglienza e supporto”. Tutti gli operatori sono rigorosamente volontari: “è il miracolo di un gruppo di persone ispirate al nome e alla storia di Federico e guidate dalla Provvidenza. Dobbiamo, però, essere sempre consapevoli che la solidarietà
è un diritto di tutti, che deve essere garantito da uno Stato sociale. Quando, troppo spesso, diventiamo supplenti di un servizio pubblico inefficiente o inesistente dobbiamo agire e, allo stesso tempo, evidenziare la necessità di un miglioramento del sistema”.
La Fraternità porta il nome di Federico Bindi, un giovane morto prematuramente nel 2009 e aveva dedicato la sua vita al volontariato, alla spiritualità e al sostegno alle persone più fragili. Alla sua memoria, la madre Maria Grazia ha dedicato la onlus che si occupa, in modo specifico, dei senza dimora.