Mare di Mezzo, la chitarra che racconta il dramma dei migranti

Giulio Vecchini l’ha costruita con il legno dei barconi

“Quando ho aperto lo scatolone sono stato investito da un odore nauseabondo, un mix fra l’odore di chi vive per strada e non si lava da giorni, nafta e salsedine”. Giulio Vecchini racconta la storia di come è nata “Mare di Mezzo”, la chitarra costruita con il legno dei barconi dei migranti naufragati a Lampedusa e che da qualche anno passa di mano in mano a musicisti di tutto il mondo suonando il canto di chi non ha voce.
Giulio è nel suo laboratorio di Cortona, immerso tra attrezzi, utensili e strumenti musicali di ogni foggia. È un liutaio e costruisce gli strumenti a mano, soprattutto chitarre. Oggi ha 45 anni e ha imparato ad amare questo mestiere ormai in via d’estinzione grazie a suo nonno, un falegname-ebanista appassionato di legno e arte. “La liuteria è un mondo sensibile. Un’alchimia di materiali che trasmettono emozioni. Una continua ricerca dell’equilibrio. Una piccola metafora della vita…”. “Penso sempre alle mie chitarre”, confessa sorridendo. Eppure Mare di Mezzo, tra le tante sue creature, ha un qualcosa di diverso dalle altre.
Tutto è nato nel 2015, in un periodo nel quale su giornali e telegiornali si parlava moltissimo di migranti e dei naufragi dei barconi partiti dal Nord Africa in cerca di un futuro migliore in Europa. “A me ha fatto molto effetto – racconta Giulio – ma oltre al fenomeno in sé, anche la mancata accoglienza da parte di molti italiani. Mi ha fatto indignare. Anche perché gli italiani sono un popolo di viaggiatori e migranti, la nostra storia è legata a continui incontri con le altre culture, è nel nostro dna”.

Da qui nasce l’idea, quella di costruire una chitarra con il legno di questi barconi. Una chitarra che permettesse attraverso il linguaggio della musica di sensibilizzare sulla tragicità delle morti in mare di persone in fuga da guerre, persecuzioni e povertà. “Quando ho chiamato la Capitaneria di Porto di Lampedusa, non capivano cosa volessi, poi si sono messia ridere”, racconta. I barconi vengono tutti immagazzinati in un enorme capannone a disposizione dell’Autorità giudiziaria. Le cose possono solo entrare, non uscire”. Poi, tramite una giornalista francese, Giulio si mette in contatto con Francesco Tuccio, un falegname dell’isola che aveva raccolto i resti di alcuni barconi sulla spiaggia. Tuccio ci aveva costruito la “Croce dei Migranti”, usata anche dal Papa e che è diventata un simbolo, fino ad essere esposta al British Museum. Accetta la proposta e invia uno scatolone pieno di pezzi di legno. “Grazie al materiale che mi ha fornito Francesco Tuccio, ho potuto costruire una chitarra: Mare di Mezzo. Mentre la costruivo, tutte le volte che piallavo una tavola o lavoravo sul legno, questo odore nauseabondo usciva nuovamente fuori, una cosa terribile. Anche quando non stavo lavorando me lo
ritrovavo addosso, è stata una cosa provante, anche a livello mentale”. Grazie a un contatto con Antonio Carloni, direttore artistico del festival internazionale di fotografia Cortona On The Move, l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite viene a conoscenza del progetto e se ne innamora.

Mare di Mezzo diventa così il simbolo della Giornata mondiale dei rifugiati del 2015. “Da allora questa chitarra ha cominciato a vivere di vita propria, ha cominciato a suonare in giro, me la chiedono artisti di tutto il mondo fino ad arrivare in mano a Carlos Santana, Bob Geldof, abbiamo i video con Patti Smith che bacia la chitarra, Franz Ferdinand, Avicii, Noa, Paolo Fresu, John Scofield, Jovanotti e moltissimi altri”.
Anche Luca Lanzi della Casa del Vento e Francesco Moneti dei Modena City Ramblers compongono un brano dedicato alla chitarra i cui proventi vengono devoluti alla nave Mediterranea.

“A piedi a Roma, in pellegrinaggio con la chitarra per l’udienza di Papa Francesco”

“Io non sono credente, ma già da un po’avevo in mente di far conoscere il progetto di Mare di Mezzo a papa Francesco. Se c’è una persona al mondo veramente schierata a spada tratta a fianco dei migranti, è proprio lui”. Due anni fa Giulio conosce casualmente monsignor Italo Castellani, arcivescovo emerito di Lucca, che gli consiglia di spedire una email in vaticano. Un tentativo senza troppe speranze, niente di più. Fatto sta che la proposta di Giulio viene accettata e il Papa si impegna ad accoglierlo in una delle udienze del mercoledì. “Nella email avevo scritto, tra le altre cose, che se avessero accolto la richiesta, sarei partito da Cortona a piedi con la chitarra e sarei andato fino a Roma in pellegrinaggio”.
Detto fatto. Zaino in spalla Giulio parte alla volta di Siena lungo la Lauretana e poi di Roma lungo la Francigena per arrivare all’incontro in Piazza San Pietro dal Papa il 27 di aprile 2022. Insieme a lui Alexander Mazurkiewicz, che filma lungo il tragitto i tanti concerti realizzati nel corso di tre settimane indimenticabili.
In quel periodo erano in vigore le restrizioni dovute alla pandemia e i concerti si potevano fare solo senza pubblico, ma le esibizioni vengono fatte lo stesso e registrate in presa diretta. Una di queste è con Enrico Ruggeri. Prossimamente ne uscirà un docufilm. “Con il tempo mi sono reso conto che Mare di Mezzo è stata importante perché è un modo per raccontare il dramma dei migranti attraverso il linguaggio trasversale della musica. Per esempio, durante un incontro pubblico a Cecina un ragazzo di colore ha preso la parola dal pubblico e ha detto: “Mi ha fatto molta impressione questa cosa che hai fatto perché sono arrivato in Italia nel 2015 probabilmente un pezzo di barca che mi ha portato in Italia potrebbe essere su questa chitarra”.

Ma Mare di Mezzo non è l’unica chitarra costruita con un materiale particolare per raccontare una storia. “Erano anni che avevo comprato una strana valigetta di legno degli anni ’30 o giù di lì. Aveva tanti controlli sul coperchio, un contenitore per degli acidi e sul fondo degli elettrodi con un meccanismo per attivarla, come se fosse una batteria. Non capivamo cosa fosse. Poi abbiamo scoperto che si trattava di uno dei primi prototipi di elettroshock. Una cosa che può aver fatto del male a chissà quante persone. Eravamo nel pieno della pandemia, un periodo che è stato un po’ come entrare tutti in un manicomio e ho deciso di decostruirla e ricostruirla all’interno di una chitarra, con tutti i controlli funzionanti. Da qui è nata Electra, una chitarra per raccontare in musica quello che è stato il mondo dei manicomi con il loro carico di sofferenza e indagare come può essere oggi affrontato il tema della salute mentale”.