Dice un proverbio cinese che se vuoi conoscere bene un uomo lo devi guardare lavorare.
Conosco Fabrizio Bernini da oltre 20 anni, forse è stato proprio lui a farmi vedere per primo la strada della gestione d’impresa come prospettiva professionale.
Ogni volta che ho avuto l’opportunità di parlare con lui ne sono uscito con la sensazione di un uomo costantemente catapultato nel futuro, che immaginava scenari ed evoluzioni tecnologiche con largo anticipo.
Rileggere pertanto alcuni passaggi del suo recente libro “Qualsiasi cosa accada”, scritto con la mai banale penna di Filippo Boni, specie quando fa riferimento al duro scontro dei primi anni 2000 con i giganti mondiali della tecnologia riguardo ai brevetti del robot Ambrogio, mi ha riportato alla memoria proprio quel periodo di cause milionarie, davvero drammatico per la sua azienda, la Zucchetti Centro Sistemi.
Tuttavia il libro va letto soprattutto per il racconto della famiglia di origine e degli anni della gioventù di Fabrizio, anni di abbandoni, emarginazione, abissi e dolore ma anche di grande forza, coraggio e determinazione a “trovare la luce”.
Non credo che sia stato facile per un imprenditore di successo come Fabrizio mettersi a nudo, come ha fatto nel libro, ripercorrendo tutte le tappe della sua vita e di quella dei suoi genitori, lo dice lui stesso che “con questo viaggio ho vinto i fantasmi che mi tormentavano il cuore. Ho vinto l’amore che fu inquinato dai dolori terreni”.
Ma emerge con estrema chiarezza che sono sempre le capacità umane a fare la differenza, che i successi imprenditoriali non possono mai prescindere dal talento. Anche quando “si viene dal nulla”.
Perché “non esiste una buona economia senza buoni imprenditori, senza la loro capacità di rischiare, di creare, di gettare il cuore oltre l’ostacolo”. Ribadendo la centralità di dipendenti e collaboratori, quando invece “una delle grandi malattie dell’era contemporanea è la trasformazione dell’imprenditore in speculatore”, dove l’azienda il luogo di profitto e di umiliazione delle persone.
Parole forti, quelle di Fabrizio, ma coerenti con le sue scelte imprenditoriali.
Parole orgogliose, specie quando racconta di aver rifiutato proposte “inimmaginabili” di acquisto della sua azienda da parte di fondi di investimento internazionali, perchè mancavano le garanzie di mantenimento degli stabilimenti nel territorio valdarnese, convinto che “ogni imprenditore ha una grande responsabilità sociale, oltre a quella economica: non privare mai del rispetto e della dignità un proprio dipendente, un altro essere umano”.
Un imprenditore mosso per tutta la sua vita “dal sogno di migliorare la vita delle persone attraverso l’informatica”.
E che già negli anni novanta era “persuaso che dovessimo avere un unico obiettivo: migliorare la qualità della vita dell’uomo e supportare lo sviluppo delle aziende con l’uso intelligente della tecnologia nel rispetto dell’ambiente. Unire la creatività all’innovazione per migliorare e semplificare la quotidianità nel rispetto dell’etica e business”.
Anche qui un pioniere della sostenibilità con qualche lustro di anticipo.
Facciamo leggere il libro di Fabrizio ai nostri ragazzi, nella speranza che anche loro possano, come dice la figlia Chiara sul finire del libro “guardare al futuro con i tuoi stessi occhi pieni di tenacia, di coraggio, di speranza e di ottimismo”.
Un messaggio di fiducia di cui c’è davvero un gran bisogno in questi tempi di incertezza e profondo cambiamento.