Sheep Italia. Intrecciare storie che portano calore

“Coperte senza dimora”. Un gesto collettivo di solidarietà per i senza tetto, per cambiare il mondo un dritto e un rovescio alla volta.

Coperte colorate che donano conforto e ricreano la sensazione di un abbraccio. Un gesto collettivo di solidarietà per le persone senza dimora che le ricevono ma anche speranza per chi le crea. È il progetto che sta al cuore dell’associazione Sheep Italia “Coperte per senza dimora” nato nell’inverno 2020-2021 quando la maggior parte dell’Italia era isolata a causa dell’emergenza da Covid-19. Una “Chiamata internazionale ai ferri…da calza” rivolta a chiunque sapesse lavorare a maglia o a uncinetto e anche a chi volesse imparare per l’occasione. Quel primo esperimento ha visto la consegna di 587 coperte a chi d’inverno è costretto a vivere e a dormire all’aperto e da allora il progetto continua a realizzarsi ogni anno grazie al contributo di tantissime persone che collaborano alle diverse fasi del suo sviluppo.

Sheep Italia fondata nel 2019 dal giornalista e scrittore Saverio Tommasi per operare nel campo dei diritti umani, nasce per accarezzare le fragilità e sostenere chi ha avuto un “inciampo nella vita”. Un filo rosso, di lana naturalmente, unisce tutte le attività dell’organizzazione fiorentina: oltre alla realizzazione delle coperte da parte dei volontari si occupa della distribuzione in collaborazione con varie associazioni e gruppi sparsi nei territori di tutta Italia.

Ma lo sferruzzare sta diventando sempre di più uno strumento di coesione sociale, di incontro e socializzazione. E così “si intrecciano storie che portando calore”. Intorno ai volontari sono nati gruppi Sheep di insegnamento del lavoro a maglia, che accompagna punto per punto la narrazione della propria storia, la sua condivisione e la possibilità di ricostruire la propria autostima insieme al gruppo, ricamata di dolore e di speranza. L’attività vede la partecipazione di persone con fragilità di vario genere: dalla salute mentale a persone richiedenti asilo fino a persone anziane, con disabilità cognitive e non solo. A ogni incontro sono presenti volontari e volontarie che si occupano dell’insegnamento tecnico ma anche professionisti che gestiscono le dinamiche relazionali guidando le attività orientate al racconto di sé.

«Il posto in cui mi sento a casa è questo. È bello stare qui. Sono contenta di venire». Racconta A. durante uno dei “giri di gomitolo” iniziando a lasciarsi alle spalle i tanti molti momenti difficili che le hanno reso difficile sentirsi a proprio agio in mezzo alle situazioni e alle persone.

Fili d’identità che rammendano cicatrici e che tessono un vissuto nuovo, accogliente e non giudicante. 

«L’incontro con questo posto, l’incontro con la lana come abbiamo fatto oggi è stato un bell’incontro, mi piace davvero molto. (…) Il mio viaggio verso l’Italia non è stato facile, è stato duro e violento». Per R. il gruppo è il primo porto sicuro dopo molto tempo, queste le sue parole al suo primo incontro.

Inoltre grazie al progetto Borse Lavoro ogni sei mesi parte un nuovo ciclo di formazione al lavoro di maglia e cucito per quattro donne in situazione di fragilità. Il progetto giunto alla terza edizione prevede anche l’accompagnamento nell’ingresso al mondo lavoro. Obiettivo: acquisire competenze certificate che permetta loro di entrare nel mondo del lavoro e diventare autonome e indipendenti. Un’opportunità di trovare sé stesse e definire la propria vita attraverso il lavoro, perché il lavoro possa sempre più realizzare le persone prima di realizzare cose.

«La lana è provocatrice di buone azioni per natura. Lo è rispetto all’immobilismo, all’inerzia, allo snobismo». Si legge in una nota a firma del presidente Tommasi. «L’artista danese Marianne Jorgensen rivestì un carro armato con un copriteiera rosa realizzato ai ferri per protestare contro l’impegno del suo Paese nella guerra in Iraq. Oppure Jayna Zweiman promosse la realizzazione di centinaia di coperte da regalare agli immigrati, realizzate con 3.200 chilometri di filo, pari alla lunghezza del muro che Trump avrebbe voluto costruire fra Stati Uniti e Messico, ribaltando così il messaggio». Insomma il messaggio è forte e “caldo”: «Cambiare il mondo è possibile, un dritto e un rovescio per volta».