Alla ricerca del fratellino rapito

Klarysa, fioraia del Donec'k, tornerà in Ucraina per combattere e ritrovare Ruslan

Ho conosciuto Klarysa, a Firenze, durante un incontro Lilea (Associazione  Onlus), quando la guerra in Ucraina ancora faceva notizia. Ci siamo scambiate un sorriso e un fiore: lei un gladiolo color arancio, di carta; io un bucaneve. Il biscotto, non il fiore. Poi le ho spiegato. Ha sorriso del mio gesto. 
Klarysa ha 32 anni. A breve ripartirà, ha deciso di lasciare definitivamente l’Italia. In Ucraina era una fioraia, adorava il suo negozio. «Era tutto profumato e colorato. Per me era come una seconda casa. Ogni mattina mi alzavo felice per andare a prendermi cura delle mie piante». Ora, ha perso tutto. «Con la distruzione della città, della mia famiglia e della mia vita non ho più niente da perdere. Mi arruolerò. Per prima cosa, però, devo pensare a Ruslan. Lo devo ritrovare».
La sua famiglia è tra le migliaia coinvolte nella vicenda dei bambini ucraini portati via con forza dal loro paese e costretti a vivere in Russia, ricevendo la cittadinanza. «La maggioranza dei rapiti proviene dalle aree occupate dell’Ucraina meridionale e orientale, noi veniamo da Donec’k. I miei se ne sono accorti la mattina al risveglio. Le porte erano state lasciate aperte, mancava qualche vestito e l’apparecchio da denti che mio fratello poggiava sempre sul comodino accanto al letto. Rapire e trasferire le persone senza il loro consenso, obbligarle a un’altra cultura è un atto di genocidio!».
Girano dei video, condivisi su Telegram milioni di volte, in cui le emittenti televisive russe trasmettono le cerimonie con le consegne dei passaporti. Putin approvò l’operazione firmando un decreto che concesse la cittadinanza russa ai minori ucraini senza custodia genitoriale, nonostante la legge russa vieti l’adozione di bambini stranieri.
Il numero preciso dei bambini coinvolti è impossibile da stabilire. Si ipotizzano centinaia di migliaia, ma ad oggi si stimano certi almeno 19.500 minori deportati e mai più rimpatriati. A poco sono serviti i negoziati governativi e il mandato d’arresto internazionale per il presidente russo, incriminato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per il rapimento di massa.
La Russia ha giustificato le proprie azioni come una “missione umanitaria” per salvare i bambini ucraini dalla guerra, vantandosi delle adozioni; l’Ucraina, invece, si è rivolta alla Corte europea per i diritti umani denunciando i rapimenti che vanno avanti già dal 2014, accusando la Russia di genocidio e descrivendo le sue azioni come un crimine di guerra. Ancora oggi è un rimbalzo di accuse e colpe.
Sono seicento giorni di invasione russa. Senza pietà continuano i raid notturni e gli attacchi missilistici nel silenzio mediatico, ora assorto dell’attuale guerra nella Striscia di Gaza. Quello russo è stato definito un attacco talmente grandioso ed eclatante che viene insegnato addirittura nelle accademie militari cinesi.

Insegnare gli attacchi. Attacchi mortali contro tutti, contro l’umanità intera, contro il senso stesso di umanità.
Diceva Isaac Asimov: «Non ci sono nazioni! C’è solo l’umanità. E se non arriveremo a capirlo subito, non ci saranno nazioni, perché non ci sarà umanità». Provo a spiegare questa frase a Klarysa. Non ha bisogno delle mie parole, quasi mi ride in faccia. «Se la mia nazione non ci sarà più sarà solo per colpa della Russia e di chi non ci aiuta difenderci!».