È l’immaginazione il motore della rigenerazione urbana. Lo è per la realtà biturgense della CasermArcheologica, uno spazio di partecipazione, di cittadinanza attiva di incontro e contaminazione, dove le macerie diventavo ispirazione per costruire qualcosa di nuovo, insieme. Dove la memoria è una traccia per segnare un sentiero che apre visioni di comunità.
La storia di un luogo abbandonato, un palazzo nobiliare poi divenuto sede della Caserma dei Carabinieri: un incrocio di storie diverse e apparentemente inconciliabili che rimangono impresse nella calce e nei muri di uno spazio fisico che tuttavia finisce per diventare invisibile. «Le città in cui viviamo non le conosciamo, ci dimentichiamo di alzare gli occhi e guardare davvero. Di attraversare i nostri luoghi quotidiani con una prospettiva diversa. Io stessa non mi sono mai chiesta cosa ci fosse in quel luogo prima». Afferma una delle direttrici e fondatrici del Centro, Ilaria Margutti ricordando le emozioni del primo incontro con quel luogo che già sapeva di futuro. Era il 2013 quando l’Amministrazione comunale le chiede in quanto artista e insegnante di immaginare un futuro per quel luogo abbandonato. Serve un’idea. L’ispirazione arriva dai ragazzi, dagli studenti del liceo Città di Piero. Sono i giovani da subito il motore di questa nuova storia che sta per splendere. E arriva la prima mostra dei quaderni, pagine sgualcite che riportavano diversi sguardi sul mondo, centinaia di storie, migliaia di pagine scritte, disegnate, create da ragazze e ragazzi che hanno lasciato le loro tracce depositate sulla storia del palazzo. Un successo in termini di partecipazione della cittadinanza ma è nulla rispetto alla meraviglia che si cela nella bellezza della scoperta da parte dei ragazzi di questo luogo dismesso e abbandonato. «Vederli meravigliati è stato lo slancio. Nei loro occhi questo spazio diventava una possibilità. Dobbiamo riflettere sul fatto che i giovani sono abituati a trovare tutto pronto, ma ognuno di noi ha dentro di sé il ricordo del fascino del luogo abbandonato, dello spazio segreto da scoprire – racconta Ilaria Margutti – Io stessa ho ripreso contatto con la me bambina alla scoperta dell’ignoto. Con i ragazzi siamo partiti dal togliere i calcinacci, la polvere, sistemando lo spazio in modo da far percepire ai visitatori quell’abbandono che noi stessi abbiamo sentito: uno spazio non finito, non completamente accessibile. Una mostra dedicata allo sviluppo dell’immaginazione. Storie d’abbandono o di luoghi ritrovati. Uno spazio sospeso tra il recupero della sua storia e le infinite possibilità che lasciava intuire e percepire».
Inizia così la storia di questa architettura di comunità, un edificio pubblico che trova le sue fondamenta in tutti coloro che scelgono di prendersene cura. «Sembra di essere a Berlino, dicevano i ragazzi con le mani ricoperte di polvere. Si percepiva quella stessa identità decadente ma curata, fondata sul concetto della ricostruzione di luoghi vuoti che hanno il profumo della libertà e quella promessa di contemporaneità dopo il crollo del muro». Una promessa di futuro.
Ma come in ogni storia arriva la crisi. Nel 2015 i Vigili del Fuoco rilevano l’inagibilità del palazzo a causa dell’impianto elettrico inadeguato e sembra impossibile poter reperire i fondi per sanare le criticità. Il sogno si scontra con la realtà. Questo movimento spontaneo sembra destinato a interrompersi. Ma il sudore mescolato con la polvere che è stata la cifra di quei tre anni continua ad attingere all’immaginazione e così si aprono nuove strade. Stavolta quella della progettazione culturale grazie ad un nuovo incontro con colei che sarà la da lì in poi la seconda anima della Caserma, Laura Caruso. Arrivano i fondi del bando Culturability, promosso da Fondazione Unipolis, che permettono di recuperare alcune stanze e rendere agibili. Il movimento riparte, arriva la prima mostra “Agibile”. Ma soprattutto si apre un nuovo scenario, quello del mondo della rigenerazione urbana a livello nazionale, un movimento di realtà e professionisti fino a quel punto sconosciuto che ora trova un nuovo polo a Sansepolcro e la CasermArcheologica diventa un caso studio. Oggi Caserma è uno spazio permanente di promozione culturale, un luogo in Valtiberina aperto durante tutto l’anno e accessibile a visite di scolaresche, turisti, cittadini, ospita mostre d’arte contemporanea, residenze artistiche, ma anche corsi di formazione e laboratori e uno spazio di coworking inteso come riferimento per giovani professionisti che cercano un luogo di reciproca conoscenza, scambio e condivisione di progettualità. Diversi i nomi del variegato panorama artistico italiano e internazionale che in questi anni hanno trovato a Caserma la loro “casa” temporanea, dando vita a residenze, mostre e attività partecipative di altissimo profilo: da Olivier Grossetête, a Tina Helen, da Alessandra Baldoni a Virgilio Sieni, e tanti altri. Situata in una delle aree interne del cento Italia, CasermArcheologica esiste non a margine o in periferia, ma come centro, dimensione laboratoriale che permette il dialogo con i diversi attori sociali e con le istituzioni e da cui è possibile osservare, riflettere e agire attivamente. Il dialogo con la città è uno degli elementi costituenti. Il desiderio di essere luogo capace di accogliere le idee e sostenerle mettendo le persone in relazione perché possano sostenersi contaminandosi e trovare uno spazio per realizzarsi concretamente e coinvolgere a cascata. È così che direttrice Ilaria Margutti vede il futuro di questa realtà «Il segno che vogliamo lasciare è quello di un luogo che resiste, che continua ad esserci per mostrare alle persone come gli spazi vuoti possano essere una possibilità. I progetti che durano nel tempo, quelli che resistono nel piccolo sono quelli che vivono nella prossimità, nell’esserci sempre, in maniera continuativa, puntando sul contatto umano che ha davvero la possibilità di trasformare la realtà, il vissuto delle persone. Questo accade solo se ognuno porta un pezzo». Uno spazio che vive grazie all’immaginazione e esiste per ispirare le persone affinché ognuno possa trovare uno spazio libero in cui accendere all’immaginazione e capire che non è un privilegio ma un dono per la comunità.