Suleman Latif, un uomo di trent’anni, ma sembra più grande, porta con se il peso di un’età maturata in fretta e nelle difficoltà. Guardandolo mentre pedala per le strade del Valdarno con la sua vecchia Bianchi acquistata dal robivecchi, non potevi fare a meno di notare la sua somiglianza con il famoso personaggio goffo e divertente di Fantozzi alla coppa Cobram. Eppure la sua figura esprime un misto di saggezza e innocenza, di esperienze accumulate in una vita difficile e di speranza per un futuro migliore. Ma il suo vero riferimento resta Khalil Amjad, forse l’unico ciclista professionista del Pakistan.
Suleman proviene da una piccola città nel cuore del Pakistan, lasciata oramai da anni. Suleman fugge dal suo Paese martoriato dai conflitti con la vicina India e dall’instabilità politica alla ricerca disperata di trovare uno spiraglio di pace e libertà. Inizialmente aveva lavorato come manovale nei grandi cantieri infuocati di Dubai, noti come la “città d’oro”. Ma il suo spirito avventuroso lo aveva poi spinto a proseguire il suo viaggio verso l’Europa, certo di trovare una terra di opportunità.
Finalmente, dopo molte peregrinazioni, Suleman arriva in Valdarno, un luogo accogliente ed operoso. Qui, con il sostegno del CAS (centro accoglienza straordinaria) ottiene un lavoro stabile e un posto dove abitare, divide una casa del Centro con un ragazzo del Senegal e due “bangla”, profughi del Bangladesh. .
Con la sua Bianchi ogni giorno affronta il viaggio per la scuola di italiano e per il diploma di terza media. Poi ancora in bicicletta per raggiungere il suo posto di lavoro a San Giovanni Valdarno. E’ orgoglioso Suleman di quel posto “Il miglior kebabbaro della zona”. La sua simpatia e il suo sorriso contagioso gli hanno fatto guadagnare il rispetto e l’affetto del proprietario, un turco arrivato in valdarno negli anni 90 e i giovani clienti. In Pakistan, la gentilezza e la simpatia sono una caratteristica comune, e Suleman incarnava questo spirito. Divertente e curioso proprio come Khalil Amjad, il “suo” ciclista. Continua a guardare con ammirazione le imprese di Khalil, magari una volta avrebbe voluto emularlo, ma oramai il suo destino è tracciato. Aprirò un “chebabbaro tutto mio” ride con la c aspirata alla toscana e guarda la sua vecchia Bianchi parcheggiata li accanto. Il suo mezzo di libertà. Ogni pedalata lo faceva sentire più vicino al suo sogno, oggi non più quello di sfidare i migliori ciclisti. Appena concluso il lavoro, ancora in bicicletta per andare a Montevarchi a scuola guida, il prossimo obiettivo. Tutto andrebbe bene se non avesse avuto una notizia, dalla lontana famiglia, che lo ha ferito profondamente. La sua promessa sposa è stata promessa ad un altro. Tutto finito, si erano promessi amore che lei era ancora bambina. Qualche giorno di tristezza infinita e poi forza a pedalare, ancora poco tempo da attendere che la sua pratica andrà in Commissione per ottenere la protezione internazionale di rifugiato politico ed allora che quando sarà integrato potrà chiedere in moglie una nuova donna, magari italiana… Intanto ha gia inviato un messaggino alla gentilissima assistente del CAS “Camilla now I’m free, appena avrò i documenti ti sposerò, ed apriamo un chebabbaro assieme!”