Staino racconta la creazione di Bobo. Dai marxisti leninisti alla satira. L’inizio della storia di uno dei più importanti disegnatori satirici d’Europa
“Ciao, sono Enzo”. Quando vai a trovare Sergio e ti avvicini, se non sa che stai arrivando, è bene che ti presenti. Sì, perché Sergio, da qualche anno, non riesce a riconoscerti. A causa di una degenerazione retinica ha quasi completamente smarrito la vista, ma la sua cortesia e la sua ironia rendono comunque tutto facile. Ti senti subito un gradito ospite dentro quella casa carica della sua storia, della sua arte, del suo impegno in politica. I suoi disegni affiorano nelle stanze come preziose tessere del mosaico della sua passione culturale: da Tango all’Unità, ai film, al teatro, a Linus. E con Linus il suo geniale personaggio, il più amato e il più vero, la sua coscienza, la sua anima critica, il suo specchio: Bobo. Si, in casa di Sergio, anche se ci sei già stato, anche se siete amici da molti anni, provi sempre una grande emozione mista ad un po’ di imbarazzo. Capisci che sei nella casa di uno dei più importanti disegnatori satirici d’Europa, e nella casa anche di Bobo. E poi arriva Bruna, donna di un’ospitalità preziosa, protettiva e cortese che provvede ad accoglierti e anche al resto. Una vita assieme, lei e Sergio, dagli anni dell’innamoramento durante la Cina di Mao. Erano i primi anni ‘70 quando si conobbero, ambedue erano militanti nel Partito Comunista marxista leninista. E fu, infatti, nella sezione fiorentina di quel partito che nacque il loro amore. Una militanza comunista quasi fanatica la loro ma, ricorda Sergio, appassionata, ribelle e pregna anche di un grande settarismo che però veniva sempre addolcito dai disegni e dall’ironia di lui e dalla dolcezza di lei.
“Appena avevo tensioni, paure, angosce iniziavo a disegnare e, quando le figure prendevano forma, e le mie angosce svanivano, tutto volava via.”
Sergio dice di avere sempre dipinto e che il disegno, la caricatura, non è stato solo un dono per lui, ma anche una salvezza. “Appena avevo tensioni, paure, angosce iniziavo a disegnare e, quando le figure prendevano forma, il disegno cresceva e le mie angosce svanivano, tutto
volava via. Il disegno era il ventre materno. Mia mamma mi aveva insegnato a disegnare, spesso lo facevamo assieme”. Poi, la militanza
nei marxisti leninisti, dopo dieci anni davvero complicati e con il rischio di infilarsi nel buco nero del terrorismo, finalmente finì. “Anni bui e tormentati che mi avevano ridotto a pezzi, sentivo di aver gettato al vento momenti fondamentali” racconta Sergio. “La grande crisi del marxismo italiano, il tunnel buio della Cina maledetta, tutto mi sembrava precipitare. Ma nel frattempo era apparsa una luce bellissima, mi ero innamorato di Bruna e da quell’amore arrivò nostra figlia, Ilaria. E dopo di lei, Michele. Fu un amore adultero il nostro, quasi criminogeno, lei moglie di un compagno peruviano ed io marito di un’altra donna”. Il loro partito, infatti, moralista astratto e violento, li criminalizzò e li punì. Nacquero anche da lì le loro prime crisi di appartenenza che li portarono, più avanti, ad andarsene. Del resto, proprio in quel momento, in Parlamento si discuteva del nuovo diritto di famiglia che avrebbe sanato anche la possibilità per Sergio e Bruna di poter riconoscere la loro figlia. Fu il primo caso a Firenze in cui si denunciava la nascita di una figlia tra un uomo ed una donna che avevano altri coniugi. Ilaria fu il grande dono dell’amore e, forse, è proprio anche per questo che ha rappresentato sempre, nelle storie di Bobo, colei che riporta ogni volta il babbo con i piedi per terra, facendolo tornare idealista e sognatore.
Ne seguì un periodo molto difficile per la famiglia Staino, segnato dalla crisi nel partito, la precarietà del lavoro, un futuro incerto da costituire. “Mi ero laureato in architettura, ma il partito mi aveva chiesto più tempo per il lavoro politico e, così, avevo trovato un’occupazione precaria di insegnante tecnico nella scuola media per avere il pomeriggio libero”. Ma la rottura con i marxisti leninisti aprì uno squarcio di incertezza. Trattato come traditore Sergio perse amicizie e contatti entrando in una angoscia tremenda. Come in tutti i momenti di difficoltà e crisi, anche quella volta, l’aiuto gli arrivò dal disegno. In quegli anni aveva disegnato tantissimo. Tante vignette per il partito, per il Sindacato, per la scuola. Sui fogli bianchi la matita di Sergio mescolava arte, ironia e politica. Fogli che recuperava anche sotto i banchi lasciati dai suoi studenti. In quel momento c’era anche una grande attenzione per i fumetti. Era uscito Linus, che stava avendo un successo enorme, e tutti coloro che vedevano i bozzetti di Sergio, le sue caricature, lo incoraggiavano a continuare con le vignette.
“Ma perché non fai te stesso!
Hai un sacco di frustrazioni alle spalle, crisi, casini, conflitti esistenziali, disegna te stesso”
E così, il 10 Ottobre del 1979, stanco e ferito dalla politica, iniziò a pensare
ad un personaggio, a delle storie da disegnare che parlassero in modo satirico della società, di umorismo sociale, di angosce che lui stesso
viveva. Amava tantissimo Schulz con le sue storie in quattro quadrati e, allora, quella mattina, provò a disegnare una storia con il medesimo
schema. Quattro vignette con un impianto grafico adatto a quotidiani, soprattutto americani. Un sistema codificato che vedeva nella prima
vignetta i personaggi che ponevano il problema, nella seconda che lo sviluppavano, nella terza normalmente c’era un tempo di sospensione, il cosiddetto tempo comico, e nell’ultima, il capovolgimento e la battuta. Sergio disegna le quattro finestrelle bianche ed inizia a immaginare cosa metterci dentro, quali personaggi. Pensa a figure antropomorfe, animali con sembianze umane ma, uccelli, cani, gatti erano tutti già occupati. Poi arrivò l’illuminazione ispiratrice: “Ma perché non fai te stesso! Hai un sacco di frustrazioni alle spalle, crisi, casini, conflitti esistenziali, disegna te stesso”. Quello era un periodo in cui Sergio non si amava ed allora esagerò col caricaturare la sua figura. “Mi facevo
schifo e mi odiavo, così mi disegnai il più brutto possibile”. Non gli piaceva il suo naso ed ecco che il suo personaggio sfoggia un enorme naso a palla. Teme la perdita dei capelli e la crescita della pancia ed ecco che il suo alter ego è servito con la pancia enorme e l’incipiente calvizie. Un militante, camicia militare alla Fidel Castro, ed il personaggio prese vita. Uscì dalla matita la caricatura di come lui si vedeva, come a voler esorcizzare lo Staino che temeva di essere.
Bobo è la caricatura di come lui si vedeva, come a voler esorcizzare lo Staino che temeva di essere
Il nome scaturì da un altro amore per un fumetto della sua infanzia, il capitan Cocoricò, con i suoi Bibì e Bibò da cui venne fuori Bobo. La vera caricatura di sé stesso. E se Bobo è Sergio con le sue eccessive rotondità ecco che accanto arrivò Bibi, la moglie, che è proprio il suo contrario e che narra Bruna, ma con il suo acume, le sue acutezze. Quella mattina Bobo riflette da solo, davanti ad una macchina da scrivere. Non si sa cosa scrive, ma nel terzo quadro viene fuori l’idea, quella che divenne la salvezza. In quella vignetta Staino mette tutta la sua sincerità e tutte le sue frustrazioni. Si vede dunque Bobo che pensa. Quel coglione di Paolino dai e dai è entrato a Panorama, quel mediocre di Stefano ha messo su la rappresentanza Volkswagen… e si capiva che solo lui, Bobo, era rimasto lì con le mutande in mano. Come il Gastone di Petrolini, solo che a lui lo avevano rovinato le donne e, così, nel quarto quadro …a lui, a Bobo, la Cina! Sergio racconta di essere rimasto mezz’ora con la penna in mano. Non sapeva che fare, se cancellarla o tenerla. Si vergognava ad ammettere il fallimento, ad ammettere che la Cina lo avesse tradito. Finalmente (e per fortuna) non cestinò quella vignetta. E come una catarsi, si libera ed inizia a disegnare e scrivere, sommerso dalle idee. In venti giorni disegnò 50 strisce. Gli amici a cui le faceva vedere ridevano compiaciuti, furono successi, su successi. Pensò che poteva inviarle all’Eco di Scandicci, a La Nazione, e magari a Paese Sera. Ma la tentazione di mandarle a Linus era troppo forte. In quel momento era sicuramente il mensile di fumetti più prestigioso e popolare. E così a fine Ottobre, le strisce partirono per Linus e Sergio e Bruna, dopo qualche giorno, per una breve vacanza a Parigi. Lasciarono Ilaria alla nonna, con un avvertimento “Se mi chiamano da Linus digli che sono a Parigi, così fa un bell’effetto”. Erano appena arrivati alla Ville Lumière quando la mamma di Sergio li rintraccia al numero che le avevano lasciato. Sconcerto, “La mamma che telefona, deve essere successo qualcosa ad Ilaria”, pensarono. Macché, era per avvertirlo che lo avevano cercato proprio dalla redazione di Linus. Fu una grande emozione. “Che fare? Richiamare subito? Far vedere come sei affamato? Calma e gesso, dignità. Sergio fai la tua vacanza…”. Ma, racconta ridendo, improvvisamente Parigi era come scomparsa. Al Louvre vedeva Linus, a Notre Dame vedeva Linus, e
anche sulla Senna vedeva Linus. Non trascorse neppure un giorno che telefonò alla Rizzoli. Gli passarono Oreste del Buono, il mitico direttore, che entusiasta lo invitò a raggiungere Milano per firmare il contratto. Lasciò Parigi, modificò il biglietto del treno per Milano ed arrivò alle 10 per l’appuntamento delle 15 con Del Buono. Emozionatissimo ed un po’ impacciato entrò alla Rizzoli e salì dal direttore che era in compagnia di un altro signore. “Staino, che piacere conoscerti! Ti presento un tuo collega, Guido Crepax. Sai Guido, Sergio disegna delle storie, magnifiche!”. Contratto e struttura della striscia con Fulvia Serra, art director e madre della rivista. A dicembre la prima storia di Bobo arriva finalmente in edicola. Fioccano le recensioni entusiaste e le richieste di collaborazione, da Panorama, a il Messaggero… Sergio diviene così in pochi mesi un famosissimo disegnatore, con offerte e recensioni da tutte le parti. Perché? Si domandava. Si convinse che fu “aiutato dal suo incipiente svantaggio”, la sua progressiva cecità che gli aveva imposto di riconquistare e ritrovare, millimetro dopo millimetro, un nuovo segno, più incerto e più sofferto, accompagnandolo su una strada totalmente sconosciuta e non praticata dell’autocritica di sinistra. “Io sono sicurissimo che questa sofferenza e fatica nel mio nuovo modo di disegnare traspariva e veniva avvertita dal lettore”. Nelle sue vignette si percepiva la sincerità delle confessioni che stava facendo, il dolore mascherato da ironia e satira presente nel racconto che stava disegnando e la sofferenza e la fatica nel tracciare il segno delle sue storie. I lettori avevano capito che Sergio raccontava inquietudini, incazzature, sofferenze vere e sincere, sia pure con geniale ironia. Di questo se ne accorse Emanuele Macaluso che lo volle all’Unità per dirigere il supplemento Tango. Ma questa e tutto il seguito è storia conosciuta.