Una carrozzina, una mazza e una pallina (bucata)
La squadra fiorentina di Wheelchair Hockey, o Powerchair Hockey, è un progetto sportivo prima che sociale. Un successo tra mille difficoltà, come non avere un’unica palestra dove allenarsi, giocare e custodire l’attrezzatura
L’ASD Fiorenza, squadra toscana di Wheelchair Hockey, o Powerchair Hockey (che nel 2020 ha dato il nuovo nome alla federazione di riferimento: da FIWH a FIPPS), di A2 non è un progetto di inserimento per persone con disabilità, ma un progetto sportivo. Ci tiene a sottolinearlo Alessio Focardi, allenatore e giocatore: “A noi Pierre de Coubertin ci sta antipatico”, dice ridendo. Un’esagerazione per dire fuori dai denti che lo sport paralimpico non è solo un modo per stare insieme, per tenersi in forma, per passare del tempo, ma discipline nelle quali ci si batte per vincere, nel rispetto delle regole, per conquistare un trofeo, perché lo sport è anche questo, anche quello praticato dalle persone con disabilità.
L’ASD Fiorenza è nata nel 2018 e l’anno successivo ha iniziato l’attività sportiva. Poi è arrivato il Covid-19 con tutto quello che ha voluto significare e per lo sport di base è stato un disastro. Stefano Righeschi è il presidente, e uno dei giocatori di questa squadra, classe ’78, impiegato amministrativo al Comune di Campi Bisenzio e una distrofia muscolare dalla nascita che alcuni anni fa lo ha costretto a un trapianto di cuore: “Il Wheelchair Hockey è nato nei Paesi Bassi, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, perché adatto a tutti quei ragazzi e quelle ragazze con malattie neuromuscolari; in Italia è arrivato negli anni Novanta. Una disciplina che rappresenta un processo di emancipazione per persone con disabilità motoria gravissima e con problemi molto diversi le une dalle altre. Con noi può giocare chi ha difficoltà respiratorie o agli arti inferiori come a quelli superiori, perché ognuno è classificato in base alla disabilità. La valutazione fisica attribuisce un punteggio che va da 0,5 a 5, chi lo supera non è eleggibile e in una squadra composta da cinque giocatori, quattro più il portiere, non si devono superare 12 punti complessivi. Chiaramente non è uno sport di massa ma è sbagliato considerarlo minore, perché si pratica in carrozzina elettrica ed è una disciplina con tanto agonismo”, basta osservare gli allenamenti per credergli sulla parola.
La pallina può essere indirizzata con la mazza o lo stick a seconda della disabilità, ma in una squadra ci possono essere al massimo tre giocatori con la prima e guardarli giocare è ipnotico, per la bravura e la grinta che mettono in ogni cosa che fanno. “Non potrà mai essere uno sport popolare perché le carrozzine costano 15-20mila euro, solo la batteria al litio ne costa circa 2.000, senza contare il campo da gioco e tutto il resto, quindi ci vuole l’aiuto di tanti volontari, genitori per primi, altrimenti diventa tutto ancora più maledettamente complicato”, ricorda Righeschi.
L’ASD Fiorenza, finora, si è allenata nella palestra della scuola primaria Vittorio da Feltre di Ponte a Ema, gestita dal Comune di Firenze, grazie a una convezione con il Quartiere 3, ma gioca le partite di campionato in quella del Liceo scientifico Antonio Gramsci di via della Mezzetta con la difficoltà, ogni volta che c’è la gara, di spostare il campo, composto dalle porte e da altri elementi indispensabili: “noi abbiamo iniziato grazie alla donazione di una cooperativa, CooperHabile, la quale ci ha fornito cinque sedie progettate appositamente per il Wheelchair Hockey, e questo ci ha permesso di garantire le prime carrozzine elettriche per giocare. Anche le UILDM, Unione Lotta alla Distrofia Muscolare, di Firenze e di Scandicci ci hanno supportato economicamente al momento della nostra partenza con un piccolo finanziamento. Oggi si sopravvive grazie ai bandi, cui dobbiamo stare dietro, e a qualche altra sovvenzione, ma vorremmo essere meno precari. Ogni volta che c’è la partita, per esempio, dobbiamo noleggiare due furgoni per portare tutto il materiale dalla palestra dove ci alleniamo a quella in cui giochiamo e averne uno tutto nostro costerebbe 60mila euro. Inoltre, qui a Ponte a Ema il nostro materiale è incustodito ed è stato danneggiato durante dei lavori, senza contare che una carrozzina pesa un quintale e un bambino o una bambina della scuola può farsi male se non custodite adeguatamente. Motivi per cui da quest’anno siamo stati costretti a rinunciare a chiedere l’uso di questa palestra e siamo in attesa di una risposta da parte del Comune di Firenze affinché trovi al più presto una soluzione per noi”. Sul tema la collega di Rai Tre Toscana, Sara Meini, ha realizzato un servizio, ma evidentemente gli enti preposti non si sono sensibilizzati abbastanza; il sogno, ovviamente, è una palestra dove allenarsi, poter tenere in sicurezza tutta l’attrezzatura e giocare le partite di campionato. A questo proposito, la stagione 2021-22 è stata quella della consapevolezza, con un secondo posto nel girone di A2 che comprendeva altre due squadre toscane e una marchigiana, troppo forte per tutte, vista l’esperienza; con gironi minimalisti per via della pandemia.
La squadra dell’ASD Fiorenza, oltre a Stefano Righeschi e Alessio Focardi, è composta da Kseniia Grachova, ucraina, 35 anni, Niccolò Brancaccio, 12, Niccolò Mercurio, portiere, 17, Davide Casatello, 12, portiere di riserva, e Massimiliano Spanò, uno dei soci fondatori. Ognuno di loro ha una storia diversa, per la malattia e per età: c’è chi praticava sport prima e chi invece ha iniziato dopo, trovando nel Wheelchair Hockey lo spazio giusto nel quale esprimersi, trovando quell’agonismo, quel divertimento e la soddisfazione di avere dato tutto, in allenamento come in partita, con il sudore che scende sul viso e quel sorriso che ogni atleta ha stampato in faccia quando sa di avere fatto le cose per bene. In questo non c’è proprio niente di diverso tra l’atleta normodotato e quello con disabilità: stesse sensazioni, stesse emozioni, identico risultato. Ed è per questo che l’ASD Fiorenza è prima di tutto un progetto sportivo, perché si va lì per fare sport, per farne uno possibile, a seconda delle proprie capacità o disabilità, poi è anche un progetto sociale perché c’è un mix di età, nazionalità, generi, esperienze di vita che si mescolano insieme in campo, con tutte le famiglie al seguito. Un progetto fatto da persone che amano lo sport e la vita e che abbattono tabù e pregiudizi ogni volta che giocano e si battono, è proprio il caso di dirlo, per vincere: “se uno pensa di vedere cinque disabili in campo si sbaglia di grosso. Io sono rinato rispetto allo Stefano che ero cinque anni fa e questo sport, insieme con la squadra, è diventato la mia ragione di vita”, sottolinea il presidente, ricordando come questa si ritrovi per le riunioni tecniche così come per mangiare insieme una pizza.
I tifosi non mancano, che siano i parenti piuttosto che i compagni di scuola dei più giovani, arrivando fino a cento presenze che li incitano con canti e tamburi: “in questo sport si vince, si perde e conta molto la qualità delle strategie che vengono messe in atto e che permettono, a volte, di abbassare il gap contro un avversario tecnicamente superiore. Ma quando usciamo sconfitti siamo arrabbiati, come tutti, forse di più. Praticare una disciplina sportiva è fondamentale per ognuno e lo è ancora di più per persone con disabilità, è incredibile sapere che ci sono ragazzini e ragazzine che non fanno sport e quando si avvicinano a noi in poco tempo si appassionano perché comprendono che possono giocare e farlo ai massimi livelli. Abbiamo avuto in squadra anche un ragazzo terminale per un tumore al cervello, prima giocava a calcio ma poi la malattia l’ha costretto a cambiare prospettiva. Insieme con i genitori ha vissuto momenti che nessuno può dimenticare. Però voglio ribadire che siamo un progetto sportivo, non di inserimento disabili”, ribadisce Alessio Focardi.
Tutti vorrebbero raccontare la propria storia.
Kseniia è in Italia da alcuni anni, madre ucraina e padre russo non sta certo vivendo uno dei suoi momenti più belli a causa della guerra, e soffre di artrite reumatoide, che gli impedisce di usare le braccia, ma non il cervello come dice prontamente: “nel Wheelchair Hockey bisogna essere intelligenti, è uno sport di strategia ed è l’unico che potessi praticare. C’è molto pregiudizio nei confronti della disabilità e io mi arrabbio spesso con i ragazzi e le ragazze che sono nelle mie stesse condizioni e pensano di non poter praticare alcuna disciplina sportiva, dicendogli: sei disabile quando esci di casa, quando vai al bar o all’università, ma questo non ti impedisce di fare queste cose, non dovrebbe impedirti nemmeno di praticare uno sport. La vita ci mette davanti a varie difficoltà, qualche volta occorre raggiungere la maturità per comprenderlo e comprendere come superarle o semplicemente farci pace”.
Il Wheelchair Hockey è uno sport di tattica e strategia, di agonismo, sagacia e tanta adrenalina, qualcosa che va visto dal vivo per capire, non solo lo sport, ma tutto il mondo che ci gira intorno e forse un po’ anche noi stessi. E a comprendere meglio ci aiuta Alessio: “Con molta probabilità Stefano non sarà più dei nostri, è molto bravo e due squadre di A1 si sono interessate a lui, una di Roma e una di Monza; vi assicuro che guardare le partite di A1 è come vedere giocare degli alieni. Perché alla fine il sogno di chiunque pratica sport è vincere, crescere e progredire, anche se non proprio in quest’ordine”. Perché la disabilità è più spesso negli occhi, e purtroppo, nel cuore di chi guarda, mentre le persone che ci devono fare i conti tutti i giorni inseguono le emozioni e le sensazioni che una vita completa può dare, non quella normalità nella quale vigliaccamente ci nascondiamo.
Cosa è il Powerchair Hockey
Il Powerchair Hockey è praticato in ambiente indoor. Il campo di gioco è un rettangolo, dagli angoli stondati, largo 16 metri e lungo 26 (con deroghe per i campi da un minimo di 14 metri di larghezza per 24 metri di lunghezza) con superficie di gioco dura e liscia, di gomma o sintetica, delimitata da un perimetro costituito da sponde in materiale plastico alte 20 cm. Le porte sono larghe 2,5 metri e alte come il campo. Le linee devono essere larghe 5 centimetri e ben visibili, possibilmente bianche. La gara viene disputata da due squadre composte da cinque giocatori ciascuna, un portiere e quattro sul campo. Ogni squadra può schierare un massimo di tre giocatori con mazza contemporaneamente. Il punteggio deve avere un tetto massimo, stabilito dalla commissione medica in relazione al grado di disabilità motoria, pari al regolamento del momento che attualmente è stabilito in 12 punti. I portieri di entrambe le squadre devono utilizzare lo stick e indossare una divisa di diverso colore rispetto ai compagni di squadra e agli avversari. Il numero di cambi è illimitato e ogni giocatore che sta per essere sostituito e il relativo sostituto devono essere annunciati dall’allenatore al cronometrista, il quale comunica all’arbitro la sostituzione che verrà concessa alla prima interruzione del tempo di gioco. La partita si disputa con quattro tempi da dieci minuti l’uno, effettivi