La mamma malata che si nasconde nella vasca per
non morire sotto le bombe russe, i mariti rimasti a combattere, la paura che ogni giorno sia l’ultimo. Storie dall’Ucraina
Quando conosci qualcuno che abita in un luogo in cui è scoppiata la guerra, l’empatia è ancora più forte. Ho incontrato Maria, di Kiev, tanti anni fa. Si presentava così, era “MariadiKiev” tutto attaccato. Eravamo in una località di mare, era il periodo estivo delle vacanze. Il tempo non ci ha diviso quanto la distanza. È inevitabile che io pensi a lei, adesso. In un giorno di fine febbraio, le ho scritto un messaggio chiedendole notizie e se avesse bisogno di qualcosa.
“Sto cercando di scappare con i miei genitori, è scoppiata la guerra! Scappano tutti! Aeroporti rovinati, aerei non volano, strade intasate e pericolose! Pregate per noi, per la pace, per la protezione. Racconta quello che sta succedendo”. L’attacco russo ha stravolto l’Ucraina. Esplosi gli edifici, crollati i muri delle case, sparso il sangue per terra. È così che la guerra entra negli schermi degli smartphone, nelle pagine dei giornali e nella mia vita. Con Maria che mi scrive: “racconta quello che sta succedendo”.
Quando tento di ricontattarla trovo il vuoto. Ho il cuore impietrito, i pensieri si agitano. Questo vuoto si chiama terrore, preoccupazione per qualcuno che non puoi raggiungere né aiutare.
L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite stima, alla fine di marzo, che i profughi ucraini siano oltre due milioni e supereranno i quattro. L’Europa ha aperto le porte dando vita alla più grande operazione umanitaria del dopoguerra, superando le precedenti avvenute nei Balcani, in Siria e in Kosovo. Inoltre, per la prima volta nella storia dell’Ue, grazie alla Direttiva 55 del 2001, si può beneficiare del permesso di “protezione temporanea”, meccanismo di emergenza scevro di impicci burocratici nei quali, generalmente, incorrono i richiedenti asilo.
Alle sei del mattino è squillato il telefono «mamma, è cominciata la guerra!»
L’Italia, dopo la Polonia, ha la più importante comunità ucraina: oltre 230 mila persone. Dove andranno? Chi li ospiterà? Come faranno? Come faremo? Ho questi pensieri mentre attendo l’incontro con delle donne ucraine che hanno accettato di aprirsi con me, raccontarmi, ospitate a Panzano in Chianti, in provincia di Firenze, da Don Alessandro e da tutta la comunità. “Sto imparando a capire come voi italiani bevete il caffè. Voglio farmi una cultura”. Chi parla è Viktoriia, una bellissima mamma di 43 anni sposata con un uomo che è rimasto in Ucraina come volontario alla Guardia di Protezione. Dal caffè passa alle lezioni di maneggio delle armi da sparo e alla pistola tenuta, durante la notte, sotto il cuscino. Sua figlia, Larysa, ha 22 anni e un anno fa si è laureata in biochimica. È triste anche perché non ha potuto portare con sé il suo gatto di 13 anni. Mi mostra una foto in cui il felino dorme davanti a quadri bellissimi. “This is my art. Not copies. It’s just my fantasy”. Non riesco a descrivere la bellezza e la delicatezza di questa ragazza e di ciò che produce la sua fantasia.
Oksana, all’improvviso, sbotta nel pianto. Non riesce a fermare le lacrime. Si mette una mano davanti alla bocca, quasi nel tentativo di soffocare tutto, pensieri compresi. “Alle sei del mattino è squillato il telefono. Mio figlio mi ha detto ‘mamma, è cominciata la guerra!’ Nessuno ha creduto subito a quello che stava accadendo. Abbiamo realizzato solo dopo aver visto con i nostri occhi i bombardamenti dalla finestra”. La mattina successiva, si è nascosta con suo marito e i suoi tre figli in un sotterraneo. Quando sono dovuti andare via, il marito le ha detto che quello sarebbe potuto essere l’ultimo giorno in cui si sarebbero visti. “Io resto qui, voi andate. Questa è la guerra”. Poi Daria, che lavorava nella fabbrica esplosa accanto all’aeroporto, e Tetiana che, dopo una vita di sacrifici, aveva appena comprato la sua casa dei sogni potendola abitare per soli sei mesi e che pensa a sua madre rimasta in Ucraina, malata di Alzheimer, a nascondersi dai bombardamenti in una vasca da bagno; e Inna, e Valentina raccontano, come fiumi in piena, le loro storie, le loro idee politiche, la loro fede totale in Dio e nel loro stimato presidente che proteggono l’Ucraina, e si aggrappano a questa fede così come afferrano il telefono con disperazione, tutte le mattine al risveglio, per vedere cosa succede di là, dove tutto esplode, muore e allo stesso tempo resiste. Dietro questo immenso dolore fatto di paura, separazione e perdita, non cedono alla rassegnazione e tengono viva la speranza che tutto possa finire, che possano tornare a casa loro, a riprendere in mano la propria vita, a vivere in pace con i fratelli russi, così come è sempre stato.