Fotografia, il bisogno di luce fra le ombre

Un bambino ogni millecinquecento nasce con la spina bifida. Matteo è uno di loro. Il suo corpo è morbidamente ondulato e sporgente, adagiato e complementare alla carrozzina che lo sorregge. Non cammina, ma muove continuamente gli occhi e le mani. Gesticola, si accarezza la barba, con gli occhi scruta di nascosto e con la coda dell’occhio fissa ogni dettaglio. Sono venuta a trovarlo per fargli qualche foto. La cosa non lo imbarazza, anzi. Ha una gran voglia di comunicare, raccontare, chiedere. Nel bel mezzo di un ricordo di famiglia, mi cerca con gli occhi e ci intendiamo subito.

Beh, noi andiamo di là a fare qualche foto, dico.

Non faccio in tempo a finire la frase che Matteo è già via. Mi fa strada, andiamo nella sua camera e nel silenzio di quelle quattro mura si apre e scorre come un fiume in piena. Si diverte tantissimo nel narrarmi le sue vicende scolastiche. Tra un sorriso e l’altro arrivano pugni allo stomaco come quando mi ha detto con nonchalance che non ha mai scritto a mano perché non ha il controllo delle sue dita.
Sorrido quando mi racconta le volte in cui è ricorso all’insegnante di sostegno per prendersi qualche libertà e un altro pugno ancora quando mi racconta di tutte le ragazze di cui si è innamorato senza essere stato mai ricambiato. Sorride, ma un po’ di malinconia gli vela gli occhi. Gli chiedo di indossare per me la maglia dell’Inter. Non se lo fa domandare due volte. è fiero, quando me la mostra sembra si alzi dalla sua seduta e voli.

– Cosa devo fare? Come mi devo mettere?

Tu non fare nulla, ci penso io. Fai come se non ci fossi. Parlami come se fossi un’amica, gli rispondo.

Davvero? Posso farlo davvero? Ok. Allora ho bisogno di chiederti una cosa.

Mi guarda. Fa una pausa. Sospira.

Lo sai che non ho mai avuto una ragazza?

– Forse sei fortunato, sai. Hai la fortuna di non conoscere le pene d’amore.

– Ma non ho mai, mai, mai avuto una ragazza. In quel senso! Quel senso lì! Proprio… quello!

Mi rendo conto di essere stata superficiale. Tentavo di ironizzare, sdrammatizzare, come mio solito. Non ho la prontezza di rispondere subito, ma lui continua. Non racconterò tutto, gliel’ho promesso. Matteo è un uomo adulto e non sa cosa sia il calore di un altro corpo umano attaccato al suo.
Non sa cosa si provi quando due labbra si sfiorano, non sa cosa si senta quando ci si dona piacere reciproco. Ripercorro con la mente tutte le cose che mi ha raccontato di sé e della sua vita e noto che in ognuna c’è una persona femminile di cui si è invaghito e che non gli ha rivolto le attenzioni che avrebbe tanto desiderato.
Riusciamo, per un attimo, a immedesimarci? Tralasciamo tutto quello che comporta una disabilità come la sua, ma ci rendiamo conto cosa significhi non aver mai avuto una storia d’amore, un rapporto sessuale a trentacinque anni? Tutte le richieste insoddisfatte di un corpo che cresce e si trasforma e non puoi soddisfarlo perché ne hai perso il controllo, forse non l’hai mai avuto.
Matteo è una forza della natura imprigionato in un corpo che lo intrappola, lo limita. Mi guarda, mi fa cenno con la mano di avvicinarmi a lui. Bisbiglia. Ha un bisogno viscerale di parlare, parlare di sesso, perché parlarne, per lui, è l’unico modo per capirlo, per “viverlo”. Ne ha bisogno. Un bisogno disperato.

“Matteo è una forza della natura imprigionato in un corpo che lo intrappola, lo limita”

Scardinare un tabù

Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia già dal 2004 definito la sessualità “un aspetto centrale dell’essere umano lungo tutto l’arco della vita” sembra ancora troppo complicato immaginare che un corpo imperfetto possa provare sentimenti, piacere, desiderio come gli altri. E troppo più semplice, invece, perpetuare lo stereotipo del diverso, di uno sventurato mondo di asessuati verso il quale un giusto approccio compassionevole ci consente perfino di non avere nulla da rimproverarsi. Nulla e nessuno che si occupi della sfera emozionale e sessuale del disabile. Il tema dell’assistente sessuale come figura professionale che sia in grado di riconoscere e di accompagnare psicologicamente e fisicamente tutte quelle persone che non sono in grado di interagire con la propria sfera più intima è, invece, il tentativo di scardinare un muro che disconosce bisogni assolutamente naturali e di vita di ogni persona. (E.B.)

Non c’è sesso…senza legge

Se in Paesi più attenti come Germania, Olanda, Danimarca, Svizzera sono previsti da molti anni servizi di assistenza sessuale di cui si fa carico la sfera pubblica, in Italia si fatica persino a parlarne. Purtroppo restano ancora nel cassetto i disegni di legge in materia di assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e sessualità per le persone con disabilità avanzati nel 2014 dai parlamentari Sergio Lo Giudice e Monica Cirinnà del Pd e, successivamente, dal deputato M5S Aldo Penna e che impegnerebbero il Ministero della Salute a predisporre linee guida per le Regioni al fine di attivare adeguati corsi di formazione per il riconoscimento della figura di assistente sessuale. Di legislatura in legislatura i progetti di legge continuano a non raggiungere le aule delle Commissioni parlamentari. (E.B.)